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Tra le più interessanti voci poetiche dell'ultima generazione, Mario Fresa, classe 1973, ha già alle spalle una significativa presenza nel nostro panorama poetico. Con Alluminio (LietoColle, 2008, pagg. 42, euro 10,00) mostra un ulteriore passo in avanti nel senso di una matura sicurezza formale; sul piano del linguaggio, poi, colpisce il nitore di un segno ormai marcato nella sua determinazione. In questi versi Fresa prova a far emergere la vitalità nascosta sotto le quotidiane omissioni della realtà. E cerca di farlo evocando anche «l'alto sospiro/della memoria», e nutrendoli delle forze più elementari e primigenie, l'acqua e la luce. Francesco Napoli, "Letture", marzo 2009
Diciannove strofe, che non superano mai i ventiquattro versi, contrassegnate da numeri romani e riunite sotto il titolo complessivo di Alluminio, che in sé rispecchia la superbia della luce in contrasto con l'opacità del buio, non solo notturno, ma enigmatico di un rapporto a due, problematico ed esistenziale, formano il poema notturno a più voci del salernitano Mario Fresa, nome non nuovo alla poesia, ma che si conferma nuova voce della poesia contemporanea, in ascesa, e si raccomanda da sé a causa della qualità della scrittura, delle radici culturali che dimostra di avere ben profonde e sicure nel solco del canone novecentesco, per la modalità con la quale egli parla la sua lingua post-moderna, arricchendola, appunto, di ombre e luci, usando notevoli mezzi tecnici e linguistici in una trama nella quale si può ravvisare l'ordine della misura formale e del ritmo con il quale egli è capace di modulare l'endecasillabo, quante volte franto e mescolato, spezzato, a comporre figure minori del verso, dal novenario al settenario ricorrenti fino alla singola parola isolata, importante nella sua nudità essenziale, per distendersi, nello stesso procedere del monologo, del dialogo o dell'inciso virgolettato, nel polimetro quasi prosastico che non dà scampo, nella sintesi e nel fiato più ampio della colloquialità, ma sempre con una tonalità di mezza voce, di riflessione e di raffigurazione d'esistenza e di sogno, in un pacato e notturno sfilare di parvenze e verosimiglianze, di assiomi e sentenze, di analogie mai banali. Poesia matura, ormai, della quale non si può fare a meno d'apprezzare l'intensità del dettato e l'ala che la eleva in alta sfera. Poema, Alluminio, del “giovane” e “antico” Mario Fresa, che rifarà presto parlare di sé. Renato Greco
Concordo con Mario Santagostini quando scrive, nella prefazione alla silloge: «Sta lavorando la memoria o l'immaginazione? Eppure, è proprio questa ambiguità a costituire l'elemento di più alta originalità e inquietudine delle poesie di Fresa, forse la nota che attraversa l'intera raccolta, la cifra dominante e caratteristca.» In effetti la poetica a tratti fantasmagorica e neobarocca (in senso positivo perché lessicalmente sobria e fondamentalmente priva di solecismi) di Fresa, ricca di sinestesie e metafore, di visioni soprendenti e fascinose, pervade Alluminio, facendone una suite compatta pur nelle sue fughe e nelle ardite variazioni di una materia mercuriale, sensualmente spiritualizzata: «Qui mormorava il nastro della gola, / c'era l'immensa porta che inghiottiva i nostri passi, / in un istante solo; / e invece poi nessuno ha ricordato le parole / che migravano stupìte, nel cielo retrocedendo / con una dolce danza: / “ma guarda / come ci succhia, adesso, guarda come / ci rinnova, questa fervida luce / respirata” » (p. 13); «si accendono le dita nell'argilla del silenzio» (p. 14); «questo piede si è trasformato in vento: si fanno avanti i muri, le loro bocche ansiose» (p. 19); «qui si ascoltano tremare la variabili dita dei canneti / nei magnifici ingressi dell'udito» (p. 22); ecc. La chiave che in genere offre il titolo, rimanda a qualcosa di leggero e argenteo, forse un po' algido, ma ci pare che i versi di Fresa siano mobili e sfuggenti come l'argento vivo, luminescenti e caldi. Un libro che è un piacere rileggere. Alessandro Ramberti
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