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Certamente non all'altezza degli altri. Personaggi antipatici, parte giallistica scritta in modo banale e non conclusa
Un Pastor d’annata, ambientato nella Repubblica di Salò, con una topografia accurata dei luoghi esistenti in ottobre-dicembre 1944, al crepuscolo nazi-fascista. A Salò viene rubato un prezioso quadro di Tiziano, una delle tre Veneri del maestro. Martin Bora è prelevato dall’Appennino emiliano, dove cerca di contrastare l’avanzata degli Alleati, e incaricato di scovare la tela e i ladri della preziosa opera. Le indagini si complicano per una sequela di tre delitti di giovani donne, apparentemente suicide, che in realtà sono state assassinate. A ingarbugliare ulteriormente la matassa c’è il clima di profonda ruggine, quasi disprezzo, tra i membri dell’esercito fascista di Salò e le truppe tedesche, non più alleate ma occupanti. Non bastasse, c’è un pericolo mortale che aleggia sulla testa di Bora, tallonato da vicino dalla Gestapo, che lo ritiene implicato nel complotto alla vita di Hitler dell’estate 1944, capeggiato da Stauffenberg. Il romanzo è popolato da numerosi personaggi reali, e.g. il gen. R. Graziani e J.V. Borghese, da parte italiana, e Kappler, Kesselring, Dollmann da parte tedesca. Ci sono però problemi di fondo con la trama, troppo complicata e spesso girovaga. Non v’è in realtà una connessione diretta tra i tre delitti e il furto della Venere; questi delitti sembrano introdotti solo per confondere il lettore. Inoltre l’amore platonico tra Bora e la Annie Tedesco, figlia del proprietario della Venere, è descritto in modo esageratamente prolungato. Forse sarebbe stato meglio capovolgere la trama: creare una cortina di delitti compiuti, per odio e rabbia, tra truppe italiane e tedesche, per vedere come Bora se la sarebbe cavata. E’ divertente la teoria che il paesaggio della Venere sia una mappa del tesoro di S. Onofrio rubato dai Lanzichenecchi nel sacco di Roma! Come se il paesaggio della Gioconda di Leonardo fosse in sottotraccia la mappa dei tesori di Ludovico il Moro e non la vista da lui goduta dalla villa Melzi, alta sul ciglio dell’Adda a Vaprio!
Strappato nel sonno in un rifugio della linea Gotica dal brutale Mengs, agente della Gestapo, e trasportato fino a Salò al comando del generale Sohl, Martin von Bora è nominato ufficiale di collegamento fra la Wermacht e la Repubblica Sociale Italiana. In aggiunta è incaricato di recuperare un quadro rubato, vale a dire la preziosa tela della Venere di Salò, opera del pittore Tiziano Vecellio. Inizia così le indagini che si presentano particolarmente complicate, tanto più che comincia a imbattersi in strani omicidi, che sono solo in apparenza suicidi di belle donne, i cui cadaveri sono sempre privi di vestiti. Non bastassero questi problemi von Bora deve anche anche occuparsi della repressione partigiana, scontrandosi quotidianamente con un un irascibile e vanitoso Maresciallo Graziani, nonché procedere guardandosi le spalle perché la Gestapo lo ha nel mirino, soprattutto per le sue segnalazioni di eccidi sul fronte orientale. Di carne al fuoco ce n’è tanta, ma è forse troppa, così che la cottura non è perfetta, nel senso che il romanzo, pur scritto con il piacevole stile che è proprio dell’autore, mostra nella trama non poche incongruenze e anche alcune ingenuità. E’ quindi inutile attendersi chissà cosa, ma è indubbio che come mezzo per trascorre piacevolmente alcune ore è senz’altro riuscito e in tal senso la lettura è senz’altro consigliabile.
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