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Il mare sospeso - Miranda Miranda - copertina
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Descrizione


Nella Napoli d'oggi, perennemente sospesa fra i suoi fascini e le sue crudeltà, una donna tormentata da un amore incompiuto, e con la passione ricambiata per l'arte della fotografia, immortala ogni giorno momenti e scenari, ognuno a suo modo eccezionale. E, nel suo antico atelier fotografico al Vomero, osserva affiorare dalla carta sviluppata i ricordi di un passato che ha smesso di esistere: una città più pulita, corretta e signorile; un'epoca ancora piena di speranze, poi cancellate dalla logica del profitto; vite lontane e ormai perdute. Il suo uomo, che è un tenore, la tiene avvinta in una cristallizzata danza dei compromessi, in cui lui e solo lui può dare il tempo con la sua voce. Dal Golfo, però, il vento soffia sempre, pronto a mettere disordine nelle cose come uno spirito capriccioso. Attraverso una scrittura limpida e introspettiva, prenderanno vita storie dimenticate, sensuali, dure, racconti di appartenenze difficili, in un concerto che non è solo di suoni ma soprattutto di visioni.
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Dettagli

2011
374 p., Brossura
9788879070874

Voce della critica

Non è nuova né all'ambientazione napoletana, Miranda Miranda, perché fin dal suo debutto con i racconti di Le malecorde (2000) e poi con Bellissima regina (2002) ha scelto la sua città quale scenario privilegiato, né all'intreccio di destini separati dal tempo, come dimostra il suo precedente libro Per diverse acque (2008) un mirabile un pas à deux tra una donna di oggi e la favorita di Luigi XIV. Ma è in questo romanzo, Il mare sospeso che esce nella pregevole collana di narrativa italiana inaugurata da Cavallo di ferro, che la scrittrice trova il modo di dar voce all'intero suo universo espressivo, attraverso una complessa e folgorante concertazione di personaggi, luoghi, musiche, chiaroscuri e sentimenti in cui ogni elemento brilla di luce propria. La voce che racconta appartiene ad una donna dalla personalità sfaccettata e dal passato un po' ribelle – comune a gran parte di quella generazione che è stata adolescente negli anni Settanta – che lavora in quel "premiato" laboratorio fotografico che il cav. Vittorio de Litis aveva fondato alla fine dell'Ottocento nel quartiere del Vomero, allora un borgo di campagna caro agli artisti. Ne è diventato proprietario Tullio che di de Litis è il legittimo erede e di Napoli la scomoda coscienza critica: e quanto sia alto il prezzo da pagare per mantenere quell'isola di nobile artigianato in una società devastata dalla camorra, la protagonista verrà a conoscerlo solo nel momento in cui Tullio decide di andar via. Ma non è certo inconsapevole, questa donna, quanto piuttosto strattonata in egual misura da due urgenze che reclamano tutta la sua attenzione: la fotografia e l'amore per un uomo complicato. La fotografia le è sembrata da subito uno degli strumenti privilegiati per poter cogliere, nei luoghi e nelle persone, un qualche barlume di verità e, nonostante debba piegarsi insieme a Tullio, alle esigenze del mercato – i calendari, i trucidi matrimoni sceneggiati – riesce a coltivarsi uno spazio di ricerca tutto suo. Le piace fotografare, della sua città, quei vicoli senza storia, quelle chiese che sorgono su villaggi sotterranei e che conservano nelle loro cripte i segni di una privazione antica che fa ancora male. Sono questi i luoghi che sente suoi, per un'affinità elettiva sedimentata nel tempo e rafforzata nelle fasi alterne di uno di quegli amori che sembrano fatti apposta per destabilizzare. L'uomo a cui è legata da anni, Tiziano, è un cantante lirico dalla voce di "luce e cielo" ma dalla personalità irrisolta che si divide tra lei e la ex moglie provando un senso di invincibile fatica a cercar di mettere in ordine la sua vita: cosicché anche i momenti di assoluta felicità della loro storia finiscono per essere appannati da una fitta trama di menzogne. Sono pagine particolarmente intense queste che si inoltrano nelle infinite pieghe dell'amore difficile, pagine in cui il linguaggio perfeziona una sua particolare ambivalenza che conosce tutte le variazioni intercorrenti dalla riflessione più sottile allo sgomento senza nome. Parallela a questa storia che percorre gran parte dell'ordito narrativo, si snodano altre storie significative, alcune immerse nella più brutale contemporaneità; altre che provengono da lontane epoche storiche, in quanto nascono dalle vecchie fotografie del laboratorio. Un ufficiale austriaco colto in un momento di sospensione, prima di essere scaraventato nell'inferno della Grande Guerra; una giovane donna sorpresa, nel giorno del suo matrimonio, in un eloquente sguardo di sfida; una sposa incinta che mostra il fulgore del suo ventre ad un compagno perso nelle nebbie della follia. Persone raffigurate in quel momento che precede il salto nel vuoto, quando si è contemporaneamente ancora dentro, ma già quasi fuori da un senso d'appartenenza. E riannodando le fila dei diversi percorsi – i luoghi segreti della città, le storie di queste antiche creature per sempre intrappolate in una foto e quelle delle creature viventi che continuano a dibattersi nelle loro trappole di rancori e di passioni, il percorso di cambiamento, dapprima sotterraneo poi sempre più evidente, della protagonista – ci si rende conto della profonda unitarietà di questo ricchissimo romanzo che ha come accordo predominante il tema delle appartenenze: un'appartenenza difficile, non pacificata, a un luogo, a una persona, a un modo di essere e di vivere. E non a caso la narrazione risulta come incorniciata, all'inizio e alla fine, da due motivi che potrebbero sembrare secondari ma non lo sono: le "anime purganti", le statuine di arcaica devozione popolare custodite nel laboratorio fotografico e il canto lacerante dei "fujenti" che, a distanza di un anno, torna nello stesso quartiere. Ma attenzione: perché la narrazione che ora con simmetria perfetta sembrerebbe chiudersi in realtà non si chiude e, in omaggio all'ariosa struttura musicale che ha governato fin qui l'intero romanzo, l'autrice concede il bis. Un bis anomalo che, eludendo la ripetizione, vale a segnalare l'apertura della protagonista, proprio davanti a quello strano mare sospeso della sua città, a una nuova partitura amorosa e esistenziale, a un diverso modo di intendere la vita per sé e per il figlio che è dentro di lei. Sempre, però, nel rispetto di qualcosa di profondo e di irrinunciabile: "gli insegnerò la lezione perdente e sublime che non si vive di furbizie, ma di appartenenze". Maria Vittoria Vittori  

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