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Pasadena, '94. Italia e Brasile sono in finale e Baggio deve calciare il suo rigore. Cosa gli passa per la testa, in quell'attimo? E che cosa passa per la testa a tutti noi, a ciascuno di noi che lo guardiamo? Ora, tutti sappiamo come è andata a finire. Ma per quale fattura, per quale magia Baggio, di fronte al portiere brasiliano Taffarel, ha combinato quello che ha combinato? L'autore di questo libro - un brasiliano che vive in Italia e che racconta il pallone con la stessa abilità con cui Garrincha lo toccava - dilata il senso di quel rigore, di quella partita, di quel mondiale. E, affidandosi alla propria storia e alle mille storie altrui, «convoca», in un match che somiglia maledettamente alla vita, Bearzot e Paolo Rossi, Tabucchi e Camus, Arpino e Soriano, Zico e Maradona. In palio ci sono i sentimenti, le passioni, le memorie. Un ragazzo che desiderava diventare un grande centravanti come Pietro Anastasi, e che si ritrova a inseguire - del pallone - i segni, le metafore, i sogni. Tutti i mondiali, a memoria. Tutte le partite. Tutti i risultati. Tutte le formazioni. Una mole mostruosa di dati condivisi, su cui ci si interroga a vicenda, per vedere chi è più bravo. Ma alla fine, nel fondo del cuore, ognuno ha il «suo» mondiale: guai a chi glielo tocca.
scheda di Papuzzi, A., L'Indice 1998, n. 7
Il rigore è quello che Roberto Baggio deve tirare al termine della finale tra Italia e Brasile, campionati del mondo, Pasadena 1994. Fra la preparazione del tiro e il momento in cui la scarpa del campione colpisce il pallone, mandandolo alto sopra la traversa, Darwin Pastorin, vicedirettore di "Tuttosport", infila ottanta pagine dense di ricordi e di storie, sul filo di una nostalgica passione che trasforma il mondo del pallone in mitologia quotidiana, senza enfasi, senza proclami, con una sottile retorica della persuasione e della rievocazione.In possesso d'una scrittura ricca di talento, capace di trasformare il dato in immagine, più vicino a Soriano che a Brera, ricordati entrambi come maestri, Pastorin, 42 anni, offre una conferma, gradevole e affettuosa, di come il calcio possa inghiottire il mondo reale e restituirlo in forma di apologo e metafora, o meglio ancora di una favola domestica cui affidare sogni e paure, non per evadere la realtà, se mai per riuscire a decifrarla, senza farsi troppo male. Uno strano libro che ricorda un film divertente e malinconico al tempo stesso: "L'ultimo spettacolo "di Peter Bogdanovich.
Pasadena, '94. Italia e Brasile sono in finale e Baggio deve calciare il suo rigore. Cosa gli passa per la testa, in quell'attimo? E che cosa passa per la testa a tutti noi, a ciascuno di noi che lo guardiamo? Ora, tutti sappiamo come è andata a finire. Ma per quale fattura, per quale magia Baggio, di fronte al portiere brasiliano Taffarel, ha combinato quello che ha combinato? L'autore di questo libro - un brasiliano che vive in Italia e che racconta il pallone con la stessa abilità con cui Garrincha lo toccava - dilata il senso di quel rigore, di quella partita, di quel mondiale. E, affidandosi alla propria storia e alle mille storie altrui, «convoca», in un match che somiglia maledettamente alla vita, Bearzot e Paolo Rossi, Tabucchi e Camus, Arpino e Soriano, Zico e Maradona. In palio ci sono i sentimenti, le passioni, le memorie. Un ragazzo che desiderava diventare un grande centravanti come Pietro Anastasi, e che si ritrova a inseguire - del pallone - i segni, le metafore, i sogni. Tutti i mondiali, a memoria. Tutte le partite. Tutti i risultati. Tutte le formazioni. Una mole mostruosa di dati condivisi, su cui ci si interroga a vicenda, per vedere chi è più bravo. Ma alla fine, nel fondo del cuore, ognuno ha il «suo» mondiale: guai a chi glielo tocca.
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