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Forma di Stato e di governo, la democrazia coincide con la modernità. Tuttavia, proprio questa coincidenza è all’origine di tutta la sua problematicità. Punto d’osservazione degli autori di questo libro è idealmente la crisi degli anni trenta del secolo XX, sulla quale è venuta ad infrangersi l’esperienza della politica moderna nata dalla Rivoluzione francese. Di qui, il loro sguardo risale lungo il corso del secolo e mezzo precedente durante il quale, mentre sul piano storico si è snodata la tormentata vicenda della democrazia, la riflessione critica si è volta a teorizzarne il campo concettuale, investendone le aporie e le potenziali ambiguità. Da Tocqueville a Comte, da Barrès e Maurras fino a Durkheim, l’Ottocento europeo si è posto il problema di come organizzare una società di individui, e vi ha dato soluzioni di vario segno, che si sarebbero imposte per la loro forza d’attrazione nella dura prova del Novecento. Si spiega così anche perché l’autore più presente in queste pagine, in forma esplicita o implicita, sia Alexis de Tocqueville, ovvero colui che ha meglio definito la forma moderna della democrazia, tratteggiandone la fisionomia da Giano bifronte, e che ne ha mostrato lo stato di normalità e le deviazioni patologiche, individuando nuove e più inquietanti forme di dispotismo.Dettata da un problema di tipo eminentemente storico, quest’opera è il frutto di una riflessione interdisciplinare e di una collaborazione tra storici delle dottrine politiche, filosofi della politica, storici e filosofi. La prima parte riguarda La democrazia e le sue patologie, la seconda La crisi e la critica della politica.
Secondo una suggestione introdotta da Marc Bloch nelle ultime righe della sua premessa metodologica a I caratteri originari della storia rurale francese e opportunamente riproposta anni fa da Carlo Ginzburg (Rapporti di forza, Feltrinelli, 2000), occorre partire dall'ultimo fotogramma e srotolare all'indietro la pellicola per comprendere proprio quell'ultimo fotogramma.
Maria Donzelli e Regina Pozzi proprio a partire da questo principio di metodo propongono una lettura sistematica della crisi della democrazia, quale si manifesta negli anni trenta del Novecento, come momento in cui prende forma compiuta una lunga storia che ha le sue origini negli anni della Rivoluzione francese e che ha i suoi momenti costituenti nell'Ottocento e nei primi due decenni del Novecento.
Il tema della crisi della democrazia viene affrontato secondo due percorsi: il primo intitolato La democrazia e le sue patologie; il secondo Crisi e critica della politica.
Fanno parte del primo percorso interventi dedicati allo spazio concettuale della democrazia, le possibili derive dispotiche rispetto all'esercizio della libertà politica e dell'autonomia individuale, i percorsi alquanto incerti e talora contraddittori tra inclusione e esclusione, tra doveri e tutele.
Complessivamente sono gli aspetti che Regina Pozzi mette a fuoco nel suo saggio su Tocqueville (da leggersi insieme alle osservazioni di Portinaro, specie sulla tentazione dei populismi come retorica "persuasiva e convincente" a fronte delle difficoltà della democrazia di soddisfare le richieste di pesare nella sfera della decisione); oppure quelli che Franco Sbarberi richiama attraverso la riflessione su Condorcet a proposito del tema del dispotismo.
Sbarberi in queste sue pagine non pensa solo a una vaga o remota questione di tirannia premoderna ma, soprattutto, a quelli che individua come i tratti di un dispotismo post-totalitario. Un'osservazione che è esplicitamente riferita al caso italiano caratterizzato da una concezione patrimoniale dello stato - ovvero da una prassi governativa in cui il dominio dei pochi si trasforma in vantaggio di pochi. Una pratica di legislazione in cui il beneficiario e il benefattore si scambiano reciproci favori e, soprattutto, sono la stessa persona. In breve un regime sibi et suis.
Fa parte del secondo percorso il blocco delle argomentazioni elaborate tra Ottocento e primo Novecento in funzione critica nei confronti dei principi costitutivi della politica moderna. Argomentazioni che non rimangono marginali a fianco di una presunta "marcia trionfale" della pratica governativa democratica in sviluppo".
Opportunamente, Cristina Cassina insiste ad esempio sui lasciti dei controrivoluzionari nei confronti dello sviluppo o delle aporie della democrazia. L'idea di complotto, di rivolgimento sociale come controsocietà che rompe la continuità, insomma l'idea della rivoluzione come "epifania degli alieni" e l'idea di "popolo" come "ingenuo Venerdì" ingannato e giocato da perfidi Robinson - un'immagine che avrà una lunga tradizione fino a noi - nasce dentro il linguaggio dei controrivoluzionari.
E ancora l'idea di una patologia clinica della democrazia e della società moderna. È la riflessione di Lombroso che entra in gioco - come sottolinea Jean-Fran&çois Braunstein nel suo saggio. Lombroso mantiene per tutta la sua vita un impianto filosofico di tipo positivista, ma questo non lo esime dall'interrogarsi, anche in maniera inquietante, sul miglioramento della società. In mancanza di una classe politica capace di accentrare in sé almeno un disegno di tipo riformatore, non è senza significato che Lombroso negli ultimi anni della sua vita si interroghi sull'ipnosi e sullo spiritismo come vie attraverso le quali scoprire nuove dimensioni dell'umano.
Ma questo, più che un cedimento alla moda, è il sintomo del deficit di fiducia verso le possibilità di promozione indotte dalla società dei moderni. È infatti l'annuncio a un ulteriore cedimento: quello nei confronti del sacro come luogo di deposito del potere, che nella prassi riflessiva della fine degli anni trenta nella Parigi degli intellettuali marginali e maudits (Caillois, Bataille...) cerca di comprendere il fascino che i nuovi totalitarismi del Novecento hanno per il sacro, restandone a loro volta affascinati.
È Michele Battini a proporre questa lettura suggestiva della crisi e dunque a rintracciare quel primo fotogramma che srotolato all'indietro è tornato su se stesso. Ma a questo punto pur volendone sapere di più della fisionomia di quella crisi, cominciamo ad avere elementi sufficienti per poter continuare quella stessa indagine, anche da soli.
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