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Il giocattolo rabbioso - Roberto Arlt - copertina
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Il giocattolo rabbioso - Roberto Arlt - copertina
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Dettagli

1994
160 p.
9788880120094

Voce della critica


recensione di Riera Rehren, J., L'Indice 1994, n. 8

C'è da augurarsi che l'iniziativa di ripubblicare in nuova ed efficace traduzione italiana questo primo romanzo di Roberto Arlt, mitico personaggio e scrittore popolare nella Buenos Aires degli anni trenta, possa avere un seguito con la ripubblicazione della due opere della maturità, "I sette pazzi" (Bompiani, 1971) e "I lanciafiamme" (Bompiani, 1974), romanzi che come "Il giocattolo rabbioso" costituiscono un punto di riferimento imprescindibile nella storia letteraria ispanoamericana. L'opera di Arlt rappresenta un fenomeno in un certo senso isolato e poco considerato all'interno delle famiglie letterarie argentine degli anni venti e trenta, epoca dominata dai modernisti figli di Guiraldes, dagli emergenti e raffinati avanguardisti del circolo di Jorge Luis Borges e, sul versante opposto, dagli esponenti del cosiddetto realismo sociale ispirato alle lotte e aspirazioni delle masse lavoratrici e alla letteratura sociale francese e inglese dell'Ottocento. Arlt non si riconosce in nessuna di queste tendenze che a loro volta lo emarginano in quanto scrittore privo di stile e di cultura, oltre che di impegno politico.
Tuttavia, negli anni sessanta e settanta, in piena rinascita della "nuova letteratura latinoamericana", molti fra i più autorevoli autori argentini, S bato, Onetti, Cort zar, C. Mastronardi, rivalutano Arlt, attribuendogli un ruolo centrale nella fondazione di una tradizione letteraria moderna nel continente. I libri di Arlt, accolti con un misto di ammirazione e fastidio, non concedevano nulla n‚ al realismo verista n‚ ai nuovi manierismi dei letterati borghesi di avanguardia del gruppo di "Florida" e della rivista "Martin Fierro", anche loro fortemente innovatori dal punto di vista dello stile e del linguaggio. In questo senso Arlt è stato uno dei primi scrittori latinoamericani che, staccandosi dal formalismo ottocentesco e nel contempo dalla tradizione modernista estetizzante - che tanta importanza ha avuto nella letteratura di lingua castigliana - , compiono un grande salto verso la città, verso le tematiche, le angosce e le forme stilistiche della caotica modernità che cominciano a imporsi in quegli anni nelle grandi capitali del continente. Passeranno però molti anni prima che venga riconosciuta questa importanza ad Arlt o a Horacio Quiroga, autori la cui scrittura un po' rozza, ricca di neologismi stranierizzanti, di espressioni idiomatiche introdotte dall'emigrazione europea, di esagerazioni, fantasie espressioniste e visioni apocalittiche, esprime una vitalità e un'amoralità fino allora sconosciuta in un continente dove l'attività culturale e letteraria era stata da sempre privilegio dei 'criollos' figli e nipoti di latifondisti di razza.
Figlio di immigrati come la stragrande maggioranza degli abitanti dell'enorme metropoli bonaerense di inizio secolo - padre centroeuropeo e madre triestina - il giovane autodidatta Arlt, cresciuto nelle strade della città anonima e nemica, non trova vie di uscita per liberarsi da una condizione sociale misera e opprimente. Infatti non ne uscirà mai, malgrado l'inaspettato e contrastato successo in campo letterario e giornalistico, successo durato lo spazio di un mattino, e subito stroncato dalla "decade infame" inaugurata nel 1930 con 1'istaurazione di una delle più implacabili dittature militari della storia argentina.
Opera e vita sono inscindibili in Arlt, soprattutto in questo suo libro di esordio in cui predomina il racconto autobiografico dell'adolescenza, vissuta in quell'ambiente - 'el barrio', il quartiere - che costituisce lo scenario di sogni, avventure e ruberie del protagonista Silvio e dei suoi amici. Piccoli delitti, complici di un giorno, niente di più o di meno del percorso di formazione di un futuro sovversivo accerchiato da nemici visibili e invisibili nel barrio dal quale vuole disperatamente fuggire lasciandosi alle spalle la mediocrità imperante, la famiglia, i poliziotti, i piccoli sfruttatori, la mancanza di stimoli, per andare incontro ai "piaceri della vita" e alle grandi sfide della città, della poesia e della scienza. Silvio, come Arlt, è divorato da due passioni, l'ingegneria e la letteratura, vuole essere scrittore e inventore e raggiungere così una visione globale del mondo: "Mia madre cuciva in un'altra stanza, e mia sorella preparava le lezioni.. Mi disposi a leggere. Su una sedia vicina alla spalliera, avevo "Virgen y Madre" di Luis de Val, "Electrotécnica" di Bahia e L'"Anticristo" di Nietzsche... "Virgen y Madre", me lo aveva prestato una vicina che faceva la stiratrice. Ma non mi sentivo disposto alla lettura di quel romanzone truculento, per cui presi risolutamente l'"Electrotécnica" e attaccai la teoria del campo magnetico girevole. Leggevo lentamente e con soddisfazione..."
Questo romanzo richiama in parte la tradizione picaresca e il realismo costumbrista, ma punto di partenza e scenario naturale è quell'atmosfera metropolitana da dove nascono le tipiche ossessioni arltiane dei romanzi successivi, cariche di presenze dostoevskiane e baudelairiane. Lontane da ogni intento semplicemente descrittivo o assolutorio, le traversie degli eroi di Arlt finiranno inevitabilmente nel tradimento e nella delazione, perché "ci sono momenti nella vita in cui proviamo il bisogno di essere canaglie, di sporcarci fino in fondo, di commettere qualche infamia... di distruggere per sempre la vita di un uomo... e dopo averlo fatto potremo tornare a camminare tranquilli". Ci sarebbe la possibilità di affrontare la trasformazione della società, di assumere il gesto del rivoluzionario, ma non può esserci spazio per l'utopia sociale nel compiacimento delle proprie miserie, pensa Silvio, per cui lui e i suoi compagni di avventura rimarranno sempre anarchici autodistruttivi che escludono la possibilità di un'aggregazione contro le ingiustizie. Silvio appartiene alla classe media impoverita, ma non vuole diventarne il rappresentante ideologico. Tuttavia il rifiuto non conduce alla "mobilità sociale", non c'è ombra di arrivismo nei personaggi arltiani. All'inverso, "Il giocattolo rabbioso" si configura come un apprendimento del male, come un crescendo di azioni socialmente riprovevoli che spingono al rifiuto generale, a un'assoluta e lucida negazione, alla prematura fine di ogni illusione. Il protagonista che si prepara ad affrontare il mondo degli adulti raggiunge alla fine un'unica certezza: la società non è altro che un insieme di massacratori schierati in una gerarchia disposta solo a fare del male a chi si trova sotto.
Alla totale disgregazione che lo circonda e all'indifferenza nei suoi confronti di grande parte del mondo letterario di Buenos Aires, lo scrittore Arlt vorrà opporre la possibilità di un riscatto, ciò che lui chiamava "la prepotenza del lavoro", del lavoro di scrivere. Scrittore non per scelta ma per costrizione e vocazione, disse una volta: "Questi sono tempi nuovi, il futuro è nostro: creeremo la nostra letteratura non chiacchierando continuamente di letteratura, ma scrivendo in orgogliosa solitudine dei libri che rinchiudano la violenza di un diretto alla mandibola".

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Conosci l'autore

Roberto Arlt

1900, Buenos Aires

Figlio di immigrati europei (il padre prussiano, severissimo), fin da bambino si ribella alla rigida educazione familiare. A sedici anni lascia i genitori e vive senza fissa dimora per le strade di Buenos Aires. Lavora come meccanico, imbianchino, operaio portuale, commesso e intanto studia da autodidatta. Poi comincia a collaborare a qualche giornale e infine diventa giornalista a tempo pieno. Il suo primo romanzo, "El juguete rabioso" (Il giocattolo rabbioso) esce nel 1926 ed è la storia più o meno autobiografica della sua adolescenza nella caotica e affascinante Buenos Aires dei primi anni Venti. Tre anni dopo, "Los siete locos" (I sette pazzi) viene esaltato da alcuni come un capolavoro, ma anche bollato da altri come «scritto male». Nel 1931 esce il sequel...

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