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Dettagli

1999
1 gennaio 1999
172 p., ill.
9788880121008

Voce della critica


recensioni di Corsani, A. L'Indice del 1999, n. 11

Ricercare, nel cinema, un rapporto con il sacro attraverso il corpo, è la scommessa del libro di Alessandro Cappabianca: il peso imprescindibile che il corpo assume nella finzione ci porta in realtà al nucleo centrale del cristianesimo, cioè la fede nell'incarnazione di Dio in un uomo.Ne deriva che la fisicità, magari per contrasto (il corpo vissuto come "gabbia", come sede del peccato), è elemento necessario, tappa ineludibile di un percorso di santificazione che mira ai vincoli biologici della natura umana. Cappabianca rinviene nella storia del cinema una serie di soggetti ricorrenti: Passioni, vite di santi, kolossal biblici (DeMille, Huston). Spicca Giovanna d'Arco, con i capolavori di Dreyer e di Bresson (1928 e 1963), ma anche i film di Victor Fleming (1948) e Roberto Rossellini (1954), legati entrambi all'interpretazione di
Ingrid Bergman: a questo proposito sono interessanti le considerazioni sulla funzione di catalizzatore che il corpo del "divo" esercita nel rapporto con il sacro. Corpo sacro per eccellenza è quello di Cristo; si passano perciò in rassegna le caratteristiche dei film di Pasolini, lo Scorsese dell'Ultima tentazione, Zeffirelli, Rossellini, tenendo presente che il problema è quello di "dare rappresentazione a un corpo che dovrebbe essere contemporaneamente divino e umano", e che il rischio deriva dalle parole che Cristo pronuncia, troppo note e cariche di suggestioni.La soluzione più interessante sembra quella del Messia, per il quale Rossellini decise di separare la voce (doppiata da Enrico Maria Salerno in una forma così straniante da diventare quasi una voce off) dal corpo.Wenders ha scelto una strada simile per i suoi angeli, visibili dallo spettatore ma non dagli altri personaggi del Cielo sopra Berlino. Poi c'è il Cristo "mediato" da altre figure: la martire Giovanna o, sempre in Dreyer, l'invasato Johannes di Ordet.Altre questioni interessanti vengono aperte dall'autore, come il rapporto immagine-parola (Straub-Huillet su tutti) e il "metodo" di Bresson, che obbliga gli interpreti a spossessarsi dei personaggi che raffigurano, per limitarsi a "dirli" e a fungere da modelli.Altre figure del suo cinema, come il ricorso all'iterazione dei gesti, rimandano a una possibile ascesi del linguaggio filmico. Stupiscono due assenze, di due registi non credenti eppure permeati di cultura religiosa: Buñuel e Ingmar Bergman. Del primo è celebre la scena "blasfema" di Viridiana ma anche il percorso attraverso la storia delle eresie nella Via lattea.Il secondo, nella personale ricerca sul trascendente, ha insistito a fondo proprio sui corpi, sia pure riducendoli a volti (Persona) o a elementi di sofferenza (Il silenzio, Sussurri e grida).

Alberto Corsani

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