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La prima cosa interessante di questo volume sul cinema di Hitchcock è il fatto che il suo autore sia laureato in matematica. Quello che Paolo Marocco disegna intorno a una delle sue opere più famose è infatti uno sguardo insieme complesso, originale e, per molti aspetti, addirittura inedito. Il suo lettore non si aspetti dunque un'analisi del film condotta con l'ormai classico approccio linguistico, basato sui principi di base del cinema (l'inquadratura, i meccanismi di montaggio, il sonoro, ecc.), quanto una disamina condotta attraverso una nutrita e assai diversificata serie di ispirazioni e intuizioni. Al centro di tutto ci sono le riflessioni sul tempo, inteso sia dal punto di vista della sua tematizzazione (Marocco considera Vertigo un vero e proprio apripista per un sottogenere che avrà negli episodi di Ritorno al futuro il suo esempio più celebre), sia sul piano delle coordinate narrative utilizzate nell'opera.
Come sottolinea lo stesso autore, "il film di Hitchcock viene evidentemente contagiato dall'equilibrio tra tempo e denaro: il movente del delitto sembra essere l'appropriazione di grandi quantità di soldi, traccia narrativa che è accompagnata dalla dissipazione di altrettanto grandi quantità di tempo". È partendo da tali considerazioni che Marocco arriva a inquadrare Vertigo all'interno del contesto storico-sociale e produttivo in cui venne realizzato, quando afferma che il film parla "dell'organizzazione sociale del tempo libero, in un periodo storico che rappresenta un crinale della modernità: la fine degli anni cinquanta. Un periodo innervato dal sopraggiungere dei benefit che radicalizzeranno il rapporto tra tempo libero e tempo del lavoro (gli elettrodomestici), e caratterizzato da una politica sociale di acculturazione e svago del lavoratore, fuori dall'orario di produzione".
Guidata dal celebre concetto dei tranches de gateau formulato da Hitchcock a proposito del suoi film, in contrapposizione ai tranches de vie realizzati dai cineasti di ispirazione radicalmente diversa, raramente la critica hitchcockiana si era misurata con delle interpretazioni dei film in chiave sociale, come ad esempio i cambiamenti della società americana di quegli anni e, più in generale, di quell'Occidente industrializzato che ha nel modello statunitense la sua guida decisiva. Erano inoltre le stesse nuove esigenze del cinema, chiamato a fronteggiare il sorpasso attuato nei suoi confronti dalla tv, a chiamare i registi hollywoodiani a concentrarsi soprattutto sugli aspetti filmici di superficie, legati a un sempre crescente impatto spettacolare e alla correlata ricerca di nuove tecniche ed estetiche. Per tutta questa serie di motivi, il cinema di Hitchcock è sempre stato considerato come qualcosa di molto lontano dalla realtà sua contemporanea. Già a partire dal sottotitolo del volume, Lo sguardo dell'ozio nell'America del lavoro, Paolo Marocco ne propone una lettura diversa, che approda appunto a un'interpretazione in chiave sociale e culturale, e che passa attraverso la sottolineatura dell'oziosità di certi personaggi hitchcockiani. Spostando sul versante del thriller quella prospettiva di indagine del rapporto fra lavoro e tempo libero che era tipica di un genere assai diverso come la commedia hollywoodiana di quel periodo.
Partendo da alcuni spunti di tipo visivo e narrativo che nel caso di Hitchcock sono piuttosto obbligati (su tutti il tema del doppio e della spirale), Marocco arriva a definire Vertigo come "una catena di metafore, i cui anelli diventano i nodi critici dello stesso dispositivo cinematografico" ed elabora la tesi interessante della relazione profonda tra il personaggio di Scottie Ferguson / James Stewart e il pubblico: "il protagonista maschile si comporta come uno spettatore: è soggiogato dal mondo delle ombre in cui abita Madeleine, se ne innamora e, quando quest'immagine muore, la vuole rievocare, la vuole riprodurre".
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