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Libro intervista amabile, perché ci permette di scoprire una generazione di critici di cui non possiamo oggi che sentirne tutta la mancanza e Fava ne fece parte alla grande.
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Edito in occasione dell'omaggio riservato - nel luglio 2003 - al celebre e meritorio critico dal Genova Film Festival - giovane e vivace festival diretto dai curatori del volume - questo breve ma denso libretto è più un rincorrersi di ricordi - sempre molto puntuali - che una serrata intervista. I due curatori sollecitano Fava su alcuni dei molti aspetti legati alla sua lunga, variegata e brillante attività critica ed egli, con impagabile verve, si produce in una serie di considerazioni e ricordi scanditi generalmente in ordine cronologico, ma con ricorrenti flashback o flash-forward dettati dalle molte "intermittenze del cuore" che inevitabilmente affiorano, soprattutto per chi, come Fava, molto ha visto e molti ha frequentato.
Le iniziali rievocazioni della sua formazione cinefila sembrano una sorta di predestinazione nella formazione del personale gusto, con l'ammirazione per i film "di genere", dall'avventura al thriller, in una Genova della fine degli anni trenta, dove s'incontravano, fra gli altri, un critico quale Giulio Cesare Castello e un futuro regista come Duccio Tessari. Successivamente - e per molti anni - critico del "Corriere Mercantile", Fava partecipò da protagonista anche alla diffusione del cinema a Genova, ad esempio nel Cineforum di padre Arpa, dove ebbe come compagno di strada il compianto Gianni Amico. Vennero poi gli anni - dai primi settanta ai novanta - trascorsi in una Rai ancora a lungo "vecchio stile", per la quale Fava curò memorabili cicli - su, fra i molti, Jean-Pierre Melville e Bogart, Age e Scarpelli e Rosi, Paul Newman o Preston Sturges, all'epoca regista dimenticato e poco visibile - con decine e decine di film, talora inediti in Italia e trasmessi per la prima volta in televisione, opportunamente doppiati, come tre gioielli quali The Roaring Twenties di Walsh, La règle du jeu di Renoir e Love Among the Ruins di Cukor. Nella loro varietà e diversità questi cicli hanno costituito un segno significativo della curiosità culturale e critica di un brillante e colto funamboliere, che in tal modo ha svolto egregiamente - lo osserva Morandini in una delle tredici testimonianze su Fava annesse al volume (firmate Bignardi e Callisto Cosulich, Kezich e Tatti Sanguineti, Farinelli e Mereghetti, fra gli altri) - un mestiere di critico come servizio compiuto "con pubblica utilità".
Si respira spesso, nei ricordi di Fava, l'aria dei tempi volta a volta evocati, tanto che il libro - corredato da eloquenti e spiritosi ritratti del protagonista, di mano muliebre - costituisce anche un modo di osservare i cambiamenti - talora radicali e in negativo - intercorsi anche solo in vent'anni, che agli occhi del critico sembrano un'eternità. Con elegante misura Fava fa capire il valore di certi funzionari Rai d'antan, come Paolo Valmarana, e dal rilievo dato a questi si può capire la differenza con l'attuale sistema televisivo. Pare che Fava si sia (giustamente) irritato nel ricevere - e declinare - l'invito a presentare questo libro, poiché ribattezzato - dai suoi interlocutori - "Clandestino in galera". Tuttavia si ha l'impressione che, uno come lui, nella televisione di oggi si sentirebbe un po' prigioniero, come il von Rauffenstein dell'amato La grande illusion di Renoir.
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