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Descrizione


Come raccontare un secolo intero, rivoluzioni sociali e artistiche, due guerre mondiali, cadute e rinascite di un continente attraverso le vite di individui del tutto marginali agli eventi? Incarnando la storia nell'oggetto più insignificante, una pietra estratta dalle viscere della terra e perciò in grado di "conoscere", meglio di chiunque, il cammino dell'umanità. Nel 1907 il geologo Josef Siedler, affascinato dalle teorie su un misterioso popolo da cui avrebbe avuto origine la nostra civiltà, compie un viaggio tra cunicoli e caverne alla ricerca delle tracce della sua esistenza. Quando s'imbatte in una roccia che emette strani suoni, echi di una lingua che gli esseri umani non sanno più riconoscere, è convinto di aver trovato il confine di quel mondo e ne stacca un frammento che porta con sé in superficie. Le vicende di quella scheggia di un mondo perduto - la pietra, ereditata da un nipote di Josef e smarrita durante la seconda guerra mondiale, negli anni Sessanta viene dichiarata opera d'arte e chiusa in un museo - sono una metafora dell'Europa del ventesimo secolo, l'arco di tempo in cui la pietra continua a vibrare e a "parlare".
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Dettagli

2008
13 novembre 2008
78 p., Brossura
9788881129782

Voce della critica

Il danese Peter Adolphsen, classe 1972, esce per la prima volta in Italia con un curioso racconto lungo intitolato La pietra che parla. I suoi compatrioti, entusiasti, hanno scomodato addirittura Kafka e Borges per i paragoni di rito. Nè sono mancati, tra i recensori, quanti abbiano individuato, in poche decine di pagine, una mirabile metafora della recente storia europea. Lo spunto di partenza è senz'altro originale: alla ricerca di tracce che testimonino l'esistenza dei Vril-ya, razza di semidei che secondo alcuni esoteristi di fine Ottocento abiterebbe nelle viscere della Terra, nel 1907 un bancario bavarese si avventura in un'improbabile spedizione speleologica, da cui riemergerà con un frammento di roccia che emette strane vibrazioni. Nel corso dei decenni la pietra cambierà proprietario varie volte, per i motivi e le occasioni più disparate, ed ogni passaggio di mano segnerà l'inizio di una travagliata microstoria personale a cui farà da sfondo il sempre mutevole scenario storico-politico europeo, tra conflitti, rivoluzioni artistiche, cambiamenti sociali. Borges c'entra poco: la costruzione della trama di questo colto divertissement fa piuttosto pensare agli oulipiens francesi, mentre è assolutamente nordica la freddezza, tradita ogni tanto dall'espediente del discorso indiretto libero, con cui la voce narrante registra, più che raccontare, le vicissitudini dei vari possessori della pietra. É come se l'autore si identificasse in questa silenziosa testimone, nella sua gelida indifferenza al proprio e all'altrui destino: più che una metafora dell'Europa del ventesimo secolo, un'amara presa di coscienza della finitudine e della sostanziale fungibilità di ogni vita umana.
Valerio Rosa

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Conosci l'autore

Peter Adolphsen

È nato in Danimarca nel 1972. Ha pubblicato una prima raccolta di racconti nel 1996, accolta con grande interesse dalla critica letteraria, seguita da una seconda nel 2000. Nel 2003 ha pubblicato il suo primo romanzo, La pietra che parla. Il secondo romanzo, Machine, è del 2006. I suoi libri sono tradotti in inglese, francese, tedesco e olandese.

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