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Ristampata in un unico volume l'intera produzione poetica di uno dei maggiori "dimenticati" del secondo Novecento. Un colosso testuale, letteralmente. Il libro è dunque la topografia di una complessità necessaria allo stesso passaggio al nuovo millennio. Bei saggi di Giorgio Patrizi e Florinda Fusco. Una utile - sintetica - cronologia. Unico appunto: il libro è "incollato", senza legatura: il dorso risulta così fragilissimo. Cacciatore avrebbe meritato ben altra cura tipografica.
Recensioni
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Talvolta la poesia sembra non poter sfuggire a una sua legge un po' spietata: farsi lingua di un solo parlante, l'autore, e ribaltare questa condizione sull'unico leggente, l'autore stesso. Quanto più è forte la personalità inventiva, tanto più tende a essere preclusa, all'esterno di chi pronuncia il testo, la "compatibilità" comunicativa di quest'ultimo. Si assiste alla formazione di un sistema chiuso per eccellenza, anche nel senso che il lettore, l'ipotetico lettore, viene potenzialmente reso destinatario di una corrente di informazione di massima intensità.
Viene quindi da pensare che la funzione poetica, agli inizi dello svilupparsi della coscienza antropologica dell'uomo, non fosse destinata ad assolvere compiti di informazione diretta sul livello comunitario dei significati, bensì un più profondo e oscuro compito rituale di carattere ritmico, che fosse collegato ai bisogni preconsci, pulsionali e vitalistici. Ora che più che mai messaggi di superficie hanno invaso ogni aspetto della comunicazione, riesce difficile ambientarsi con la scrittura dei poeti di questo tipo, sempre meno numerosi e sempre meno ascoltati. È stato perciò necessario il coraggio progettuale dell'editore Manni perché l'opera in versi di Edoardo Cacciatore fosse restituita al pubblico nella sua integrità. Tanta è l'emozione faticosa dell'interrogazione del testo con i suoi elementi di ritualità che impongono ben presto una desistenza rispetto all'acquisizione dei "contenuti" convenzionali.
Occorre trovare gli spazi generativi della poesia di Cacciatore all'interno di una tradizione addirittura presocratica, empedoclea, poi segnata dal passaggio capitale di Lucrezio e via via assorbita dai panorami materialistico-visionari nei quali si realizza quella sorta di indagine panica proposta da personalità eterodosse della nostra tradizione quali Campanella e Bruno, e infine dal barocco. Del resto, tutta una cordata di critici che si sono messi al lavoro in questi anni sull'opera di Cacciatore (da Patrizi a Fusco, che ottimamente incorniciano con i rispettivi saggi questo ampio libro; a Filippo Bettini, a Lunetta, a Ferroni, e prima ancora ad Alfredo Giuliani, che ebbe il merito di precorrere la scoperta di questo caso letterario) sono stati indotti a situare il caso di Cacciatore dentro un Novecento alternativo sul quale la ricognizione destinata alla formazione del canone è passata senza soffermarsi. E dunque si è parlato giustamente non tanto dei messaggi, o di formulazioni esplicite nei modi di vedere il mondo, quanto di fondamenti che sono alla base del progetto. Cacciatore non ha dichiarazioni di servizio da rilasciarci, non concede l'agio dell'identificazione vasta dei lettori entro una pronuncia di verità, non insegna a pensare in poesia. Egli è più in basso, più nel profondo. Duplicemente profondo: sia nella zona del lapsus come sonda incoraggiata dal disagio nevrotico, sia nel sistema dell'autocoscienza che pone il soggetto di fronte a se stesso in una zona delle origini del pensiero.
Florinda Fusco osserva che "l'intento cacciatoriano non è infatti quello di scegliere tra tradizione e innovazione, bensì quello di opporre il formale all'informe. L'obiettivo più alto in questa prospettiva è la composizione del multiforme conciliato (l'espressione è dell'autore), definito anche monstrum". Se da un lato, dunque, l'aspirazione a una ridefinizione del cosmo sembra essere la costante dei poeti forti, nel caso di Cacciatore questo obiettivo è talmente radicale da tendere a nascondere l'informe stesso, che potrebbe essere identificato con la materia, ossia con l'apparenza sensibile considerata come massa plastica non perfezionata (paralleli con le teorie della fisica contemporanea sono stati opportunamente tracciati riguardo al lavoro di questo poeta).
Ma l'operazione sembra ancora più complessa se pensiamo che il formale diventerebbe l'argine di difesa contro il dilagare dell'informe; e informe è in definitiva la stessa vita psichica, quella che domina il quadro esistenziale del soggetto provocando le grandiose situazioni di contiguità, sostituzione, slittamento che costituiscono l'enigma di questi ardui poemi, i quali, forse senza confronto, chiedono al lettore davvero molto. In questo panorama l'irruzione del ritmo corrisponde alla restituzione di un ordine, di una logica: affacciandosi come riparo dal solipsismo, il ritmo socializza infine il discorso, lo imbriglia in una disciplina e lo mostra prima del suo sfuggire.
Giorgio Luzzi
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