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La città polifonica. Saggio sull'antropologia della comunicazione urbana

Dettagli

2
1997
272 p., ill.
9788881790555

Voce della critica


recensione di Macioti, M.I., L'Indice 1994, n. 1
(recensione pubblicata per l'edizione del 1993)

È San Paolo in Brasile la città polifonica di cui ci parla Canevacci. Non si capisce la città, spiega l'autore, con i soliti sistemi: girandola a piedi, percorrendo una linea di autobus fino al capolinea e ritorno. Modalità valide altrove, non qui. Alcuni punti di riferimento per il percorso: il Walter Benjamin narratore di Parigi, il Calvino delle città invisibili, l'ipotizzata convergenza Benjamin-Bateson. Non servono i classici canoni dell'antropologia culturale intesa come disciplina sistematica. Serve invece l'approccio al diverso, al bizzarro, al curioso, praticato da Gregory Bateso con grande rigore. Due gli approcci usuali: quello esterno, tipico dell'antropologo, in cui le regole epistemologiche sono costruite al di fuori del contesto preso in esame, e quello interno. Qui l'autore propone di fonderli e confonderli, in base al principio che "la grande metropoli non nasce contro la comunità, ma a favore della comunicazione". Ed ecco San Paolo, macrometropoli, luogo mescolato per eccellenza, città delle policentralità, da accostare con il metodo del "montaggio". Ci comunica messaggi paradossali, come il "doppio scambio tra sacro e profano, attraverso cui l'uno si rovescia nell'altro", fino alla "mimetizzazione sacrale del profano", all'"intrusione profana del sacro": ad esempio, attraverso il McDonald, che ha l'apparenza di una chiesa medievale, con annesso campanile, con la M in luogo della campana.
Gli esempi si moltiplicano. Entriamo all'Eldorado, shopping center dallo spazio protetto, di cui si sottolineano le funzioni di difesa, in cui "il piano visivo tradizionale viene spezzettato in un infinito gioco di frammenti, di angoli acuti, di prospettive minime, di incroci speculari che si citano e si rinviano all'infinito, di linee trasversali, di televisori che replicano fotografie che replicano specchi, di sipari che si sovrappongono e moltiplicano prospettive inesistenti. è un nuovo .spazio-tempo virtuale tanto fisico quanto mentale". Ecco, sull'Avenida Paulista, la piramide della locale Confindustria, da cui tutto si può vedere, ma che da fuori non permette viste interne. Passiamo sul viadotto do Chà, viadotto del Tè, guardiamo le "mute allegorie" del Teatro Municipale, ci godiamo le tante pubblicità di pietra e gli 'outdoors', i grandi cartelloni pubblicitari stradali, fonti di comunicazioni urbane importanti: "... interpretare la pubblicità metropolitana, le sue scelte comunicative a livello della molteplicità dei linguaggi, dei contenuti e dei salti meta-comunicativi è un obiettivo fondamentale per decifrare i sistemi di orientamento urbano che fanno tendenza". In una realtà dove esistono sapienti contrasti fra codici visivi e scritti, avverte l'autore, anche la soggettività degli edifici va marcata, enfatizzata, "esposta ai venti della comunicazione urbana". Il viaggio esplorativo prosegue così fra i messaggi delle palazzine liberty residue (il "realismo delle macerie") e i 'porno scape', case-cubo che spuntano in zone straperifiche, in cui c'è spazio solo per foto di donne nude e un letto. Prosegue attraverso i colori. Dominante, nelle più povere, il grigio chiaro sporco; sono parti monocrome della città. L'identità del paese è nella contraddittorietà, tutto è congiunto, mischiato, sovrapposto. Siamo di fronte a una "sincronia atemporale e astorica che riunifica mentalmente tempi e luoghi i più diversi tra loro". Il messaggio è questo: un contesto metropolitano dove la trasformazione, il mutamento sono la norma, è pensabile solo se si moltiplicano i punti di vista sull'oggetto. Di qui la necessità di dare spazio alla comunicazione visuale, alla simmetria polifonica di incroci di parole, di incroci urbani.

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