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L’inizio fa una buona impressione, lo stile ricorda addirittura Gadda, ma dopo pochissime pagine ci si accorge che l’apparente estro è solo un esercizio da scuola di “scrittura creative”. Quanto al racconto, pur essendo oggi propensi a prendere sul serio la letteratura “gialla” (cui si reduce in un modo o nell’altro gran parte della produzione letteraria contemporanea), direi che in questo caso salta subito all’occhio l’inverosimiglianza e l’ assurdita’ della trama, col suo crescendo di trovate da B movie. Il libro ha comunque tutte (o quasi) le carattiristiche per piacere ai lettori d’oggi: trama da “thriller” (appunto), atmosfere torbide, accuratissime pagine di pornografica purezza. Povera Italia, dicevano i nostri Nonni…
E' il libro che ha vinto l'edizione 2003 del "Premio Viadana", selezionato tra una rosa di sei finalisti da una giuria popolare di 70 unità. detto questo, ogni commento mi pare superfluo!
La storia di "Una Lunga Notte", ambientata nei secoli dei lumi, è incentrata su due personaggi, Fra Colella e Gustavo Ladonna; un frate solo e pavido e un uomo storpio e apparentemente esanime, che però, spinto dai fiumi dell'oppio vendutogli dal prete, fa emergere l'oscuro passato di un artista di un secolo prima: Gaetano Zummo. I dettagli del suo racconto sono talmente verosimili da creare una realtà parallela tra il presente e il passato, trasformando la storia in ricordo. Stupefacente è il modo in cui sono descritte due tipi di carnalità: quella malata, pestilenziale, antropofoga e anatoma-patologa, in contrasto con quella giovane, volutamente giovanissima a volte, lucente, ma anche torbida e gioiosa nelle sue pulsioni più intime. Come dire, la morte e la vita all'eccesso, all'estremo.
Recensioni
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È giovane, Antonella Cilento, ma ha già all'attivo molti e vari esperimenti di scritture. È stata finalista al premio Calvino. Ha vinto il premio Tondelli con la sua tesi di laurea dedicata allo scrittore di Correggio. Da quasi un decennio insegna scrittura creativa (ha pubblicato un manuale) nella città dove vive, Napoli. Scrive articoli e recensioni e organizza rassegne e convegni.
È cocciuta, Cilento, ed è anche paziente. Mi chiedo dove troverà il tempo per dare forma anche ai suoi libri. Dopo aver esordito con due racconti, pubblicati nel 2000 dall'editore Avagliano (Il cielo capovolto), eccola ripresentarsi ai lettori con Una lunga notte. Si possono già trovare delle costanti: l'interesse, ad esempio, per il mondo dell'arte. Che le deriva dall'amore per una scrittrice come Anna Banti. È dalla lettura di un suo racconto (Tela e cenere), antologizzato da Enzo Siciliano, che dice essere nata la spinta allo scrivere. E l'attenzione per storie di artisti ambigui, sia sessualmente, sia cronologicamente.
Prendiamo il caso di Gaetano Giulio Zummo, il ceroplasta protagonista di questo nuovo libro. Di lui nella realtà si sa poco. Siamo tra Sei e Settecento. Per raccontare la sua storia, Antonella Cilento inventa due personaggi: Gustavo Ladonna e Fra' Colella. Di notte, i due s'incontrano in una cripta: il primo parla e il secondo ascolta. L'uso dell'oppio dilata la percezione del tempo. E Ladonna, nel corso del racconto, subisce una lenta metamorfosi, che avvicina il raccontatore al raccontato. Ma è meglio che su questo punto il lettore veda da sé.
Siracusa, Napoli, Firenze, Genova, Parigi...: sono i luoghi in cui si svolge la storia di Zummo. Ogni luogo è una tappa che accresce la fama dell'artista e, pian piano, si capisce che nella storia di Zummo si nasconde un apologo sui limiti della ragione, oltrepassati i quali c'è sempre una Medusa in agguato che ti pietrifica. Ecco l'ambiguità cronologica: si è da poco entrati nell'Illuminismo, ma Zummo è invece un emblema di un rapporto oscuro e notturno con la vita e con la morte. La sua arte si nutre direttamente della morte altrui, la cera si rapprende sugli organi rubati nella sale di anatomia e altrove: "C'era il puzzo della peste nel teatrino, l'odore dolce della carne putrefatta, i buchi nel corpo ormai verde di una donna giovane, i vulcani spenti lasciati dai bubboni dopo il decesso, le unghie che continuavano a crescere anche per giorni nelle fosse comuni insieme a peli e capelli, le macchie di vomito, i vermi, le chiazze di diarrea, gli aloni degli umori corporali, la disperazione dei familiari, le carcasse degli animali da cortile, i topi che coi denti tiravano fuori dalle pance intestini come salami, e una Morte armata di falce che proiettava il suo scheletro".
È una pagina di arcimboldesca fisiologia, che si legge tappandosi il naso e chiudendosi gli occhi; ma non si pensi a uno scimmiottamento "cannibalesco", perché, invece, la scrittura di Cilento lambisce sì un manierismo lieve, fatto di verbi come "attempestò", "s'invicolava", fino all'esplicito gioco allitterativo che insiste sul nome del personaggio: "s'inzummò nella sua zummesca persona", ma è costruita per essere funzionale al racconto.
Come altri scrittori della sua generazione, Cilento vuole innanzitutto raccontare. Le interessa mandare avanti la sua storia, imprimendole i ritmi giusti. Le difficoltà e le complicazioni di chi, ad esempio, ha attraversato gli anni settanta, le sono quasi del tutto estranee. A prevalere è una dimensione teatrale, tanto che alla fine di ognuna delle quattro parti di cui è composto il romanzo, si ha la sensazione che si chiuda un sipario. Espressivamente, in questa giovane autrice, sembrano convivere due anime, una più visibile e l'altra più segreta. La prima - tutta letteraria - è quella che può essere fatta risalire a scrittori come Gesualdo Bufalino (in Una lunga notte c'è un'eco delle Menzogne della notte) e a Paola Capriolo. La seconda - più esistenziale - proviene dal vissuto ("Il dolore è come la cera dentro di noi, poco alla volta consuma", si sente dire nel libro), ed è su questa strada che deve essere avvenuto l'incontro da studiosa con Tondelli. Le due anime possono far crocicchio nel nome di Anna Maria Ortese.
Ne consegue che Una lunga notte, più che un romanzo storico, come potrebbe apparire, è una fantasia che si nutre di elementi storici. La Storia è soprattutto un arsenale di figure, dal quale estrarre la "fantasmagorica, sfrenata danza di immagini", di cui parlava lo Stevenson citato nella noticina d'apertura. La Storia trascorre sullo schermo del racconto come un ammasso di nuvole, che di continuo muta forma e dimensione. Non c'è ancora, insomma, l'urto della vita, né si pretende che ci sia. Di sicuro è presto, e d'altronde il suono di quest'urto si sente davvero di rado nei libri che si producono oggi.
Chissà, però, che Antonella Cilento non ci riservi qualche sorpresa, in questa direzione, perché di sicuro leggeremo presto altri suoi libri. Bisognerà vedere se avrà voglia di mettere in discussione la sua indubbia bravura.
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