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Abissalmente lontano da qualsiasi chiassosa contemporaneità, regalmente racchiuso in una sua nitida sfera di nobile e classica trasparenza di suoni, motivi e atmosfere, questo bellissimo libro di Giancarlo Pontiggia afferma una sua consapevole altezza poetica, con l'umile proposta di verità che si sanno eterne. La poesia è senz'altro una di queste: via alla comprensione dell'umano e del sovrumano; strada della memoria e del recupero del passato; riflessione sull'anima e sul pensiero; ripiegamento sulla propria storia e indagine della storia del mondo. E' allo scorrere del tempo che il poeta pensa e si rivolge nei suoi versi più ispirati: "Canto ciò che fu prima/ e ciò che venne./ Tutto/ era sospeso in una/ quiete lunga, nel forte/ vuoto". Il cielo domina come un assoluto, in queste pagine, osservato da una posizione esiliata e carica di nostalgia: è un'immensità in cui il poeta vorrebbe leopardianamente naufragare, ma che insieme lo esclude, lo allontana, imprigionandolo nei suoi confini corporei. Anche la partecipazione più vivace e spontanea all'esistente gli è preclusa, per una sua indole di timida riservatezza, già evidente nella fragile e indifesa età infantile e nella prima giovinezza: tempo dedicato a letture raffinate e al vagheggiamento di luoghi esotici, a rincorrere un passato mitico, sorseggiando il nettare degli dei, assaporando "il miele che distilla una quieta/ pace". Versi che allontanino ogni "cura", quindi, privi di passioni che possano turbare l'animo, ma siano nutriti di limpida classicità, e che sappiano recuperare gli stilemi e i moduli non solo antichi, ma anche del nostro novecento più conclamato. E soprattutto capaci di richiamare il lettore a riscoprire la ferma compostezza della poesia, il suo alto invito morale alla contemplazione del divino e della bellezza, e insieme alla malinconica accettazione della loro precarietà.
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