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Sulle mie tracce - Gregor von Rezzori - copertina

Descrizione


Per la prima volta, in questo libro, Rezzori racconta in maniera completa i suoi ricordi. La sua vita coincide in maniera sorprendente con il XX secolo. Nato cittadino austroungarico nel 1914 a Czernowitz, in Bucovina, una sorta di intercapedine politica tra la Mitteleuropa e i Balcani e che sarà in seguito divisa tra la Romania e l'Unione Sovietica, è stato per lungo tempo apolide prima di diventare cittadino austriaco, benché avesse già eletto l'Italia sua patria d'adozione. Attraversando i paesi e le culture Rezzori riflette nel prisma di un'ironia ribelle gli avvenimenti che lo hanno portato in seguito a Vienna, Bucarest, Berlino, Amburgo fino a quell'angolo di Toscana dove la morte lo coglierà nel 1998. Come quello di Zweig e di Musil, lo sguardo che Rezzori porta sull'Europa nella quale ha vissuto tutti i grandi rivolgimenti lo innalza al rango di testimone del Ventesimo secolo. Spesso catapultato nelle situazioni più inverosimili, riesce a trovare il meglio in ogni circostanza, trasfigurando grazie al suo talento di scrittore un'esistenza segnata dall'esilio e dalla perdita dell'identità. Rezzori è un narratore avventuroso, che tesse i fili sparsi della sua esistenza nella trama della storia, dando ai disordini politici un tocco familiare e tragicomico, che fa comprendere in maniera migliore di qualsiasi analisi le ambiguità di un secolo che non ha mai finito di interessarci, e se il reale qualche volta ci viene sottratto è per riemergere di nuovo reso più affascinante.
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Dettagli

2008
24 aprile 2008
318 p., Brossura
9788882469238

Voce della critica

Questo è l'ultimo libro di Rezzori (1914-1998) pubblicato in vita, in cui l'autore riannoda i fili delle trame dei suoi scritti, ricostruendo il proprio percorso esistenziale, rettificando e precisando che cos'era autobiografico e che cosa no, come ha fatto Günter Grass in Sbucciando la cipolla (anche in Sulle mie tracce c'è la metafora della cipolla, peraltro non originalissima). Rezzori ha sempre giocato con la sua autobiografia, negando al contempo di volerla scrivere, e qui spiazza il lettore con il finale: "Insieme guardiamo (…) al mio prossimo libro: finalmente una vera biografia". In copertina c'è una foto dell'autore da vecchio, che si allontana in una città fantasma. Landolfi svela che è stata scattata ad Auschwitz, di cui Rezzori descrive con orrore la dimensione ragionieristica, "che i nostri concetti morali non arrivano a cogliere".
Gli avvenimenti dalla nascita alla fine della seconda guerra mondiale occupano tre quarti della narrazione, l'ultimo quarto è dedicato al cinquantennio successivo, in cui quasi per caso è diventato scrittore. Sembra che voglia chiarire definitivamente la sua visione della storia della prima metà del XX secolo, le cui tortuose vicende hanno determinato la sua personale storia nomade e avventurosa: "La vita mi ha vissuto". Ci imbattiamo in due concetti interessanti e originali: il primo è Epochenverschleppung: "Con essa s'intende l'anacronistica sovrapposizione di elementi di realtà, che appartengono specificamente a un'epoca trascorsa, in quella successiva", tradotto con "differimento epocale". Il secondo è "la guerra civile europea dei trent'anni che, dal 1914 al 1945, ha spazzato via per sempre istituzioni, valori, concezioni, atteggiamenti, gesti fino a quel momento normativi".
L'autore dà un'interpretazione degli avvenimenti dal suo punto di vista ex-centrico di apolide. Confessa il desiderio di non partecipare alla guerra, che si avvera per un felice cavillo burocratico, non è tenero né con i tedeschi né con gli Alleati (è stato cronista al processo di Norimberga, sulla cui legittimità nutriva dei dubbi). Non ha peli sulla lingua nei confronti della Repubblica federale dopo la riforma monetaria del 1948, avvertendone tutta l'angustia politica e culturale, e neppure della riunificazione, occasione perduta "con la mobilitazione in pompa magna di tutte le peggiori qualità tedesche: intolleranza, senso di superiorità, pesantezza, invidia, brama di possesso, odio". Non risparmia neppure gli austriaci, dedicando a Vienna delle pagine assai divertenti e perspicaci. Se c'è un popolo che riscuote la sua ammirazione e il suo affetto è quello ebraico: "Contro lo spirito del tempo avevano fatto nascere una società libera, tollerante, cosmopolita, artisticamente avanzatissima". Lo preoccupa il futuro della terra, il progresso che la soffoca: la sua utopia di Anthropolis, la città del Bello, del Buono e del Vero, che sarebbe potuta nascere dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, non si realizzerà mai.
La lingua tedesca, difesa con incrollabile fermezza da suo padre contro le commistioni "orientali" dell'impero austro-ungarico, è l'unica sua vera patria, la lingua in cui sceglie di scrivere fra le innumerevoli che padroneggia. In questo ricorda Canetti, anch'egli nato nell'Europa orientale e vissuto in diversi paesi, per il quale il tedesco era la lingua segreta dei genitori, e quindi la più amata.
Dispiace constatare che il Kritisches Lexikon zur deutschsprachigen Gegenwartsliteratur, opera vastissima a fogli mobili continuamente aggiornata, che purepresenta molti pesi piuma, non comprende Rezzori. Il pregiudizio è duro a morire. Questo rende ancora più meritoria l'opera di Andrea Landolfi, suo paladino in Italia. Del resto in Sulle mie tracce lo scrittore dichiara di aver passato i migliori anni della sua vita nel nostro paese, dove si è sentito più capito che in Germania; Magris si è occupato di lui già nella sua tesi di laurea. Come ho già scritto (cfr. "L'Indice", 2002, n. 5; 2003, n. 3 e 2007, n. 1), Rezzori ha un respiro troppo internazionale, è troppo dotato di ironia e autoironia, è pericolosamente iconoclasta; i suoi libri di maggiore successo in Germania, negli anni cinquanta, erano umoristici ("finalmente ci si era affrancati da quella penosa mescolanza di colpa collettiva e 'sangue e suolo'"), ma in seguito la sua vena più critica e riflessiva non venne apprezzata.
La postfazione è eccellente nella sua stringatezza, la traduzione quasi impeccabile; sorprendono peraltro alcune pigrizie e inesattezze: perché lasciare in tedesco il sostantivo Piefke (piccoloborghese, recluta, soldato tedesco), non preoccuparsi di scoprire che cosa sono die Schotten (monaci, soprattutto benedettini, come gli irlandesi che cristianizzarono la Germania, chiamati impropriamente scozzesi), scrivere intellighenzia al posto di Boofkes (ignoranti, stupidi)? Perché tradurre letteralmente dei modi di dire come "mescere vino puro" (dire la pura verità), "mangia, uccello, oppure muori" (o mangi questa minestra o salti dalla finestra)?
In sua memoria è stato istituito a Firenze nel 2007 il Premio Vallombrosa Gregor von Rezzori, dedicato alla narrativa straniera e, non meno importante, alla sua traduzione in italiano, voluto dalla vedova di Rezzori, direttrice della Santa Maddalena Foundation, che ha sede nella sua bellissima tenuta, dove vengono ospitati scrittori e botanici. Marina Ghedini

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Conosci l'autore

Gregor von Rezzori

1914, Cernowitz

Scrittore, attore e artista austriaco.Pseudonimo di Gregor Arnulph Hilarius d'Arezzo.Nato a Cernowitz nella regione della Bucovina, agli estremi confini dell’Impero Austroungarico ormai al tramonto, è morto nel 1998 nei pressi di Firenze, dove ha trascorso l’ultimo trentennio della propria vita, Gregor von Rezzori è stato l’ultimo esponente della grande letteratura sorta nello spazio danubiano negli ultimi anni della monarchia asburgica e uno scrittore di raffinatissima sensibilità, che forse più di ogni altro è riuscito a cogliere e rappresentare la fine del cosiddetto “mondo di ieri” e la frantumazione dei valori e dei significati nella quale oggi più che mai ci troviamo a vivere. Ma a differenza di molti suoi contemporanei...

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