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La morale dell'altro. Scritti sull'inconscio dal «Decalogo» di Kieslowski - Gabriella Ripa di Meana - copertina
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La morale dell'altro. Scritti sull'inconscio dal «Decalogo» di Kieslowski
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La morale dell'altro. Scritti sull'inconscio dal «Decalogo» di Kieslowski - Gabriella Ripa di Meana - copertina
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Dettagli

1998
1 gennaio 1998
230 p.
9788882700096

Voce della critica




Stok, Danusia, Kieslowski racconta Kieslowski, Il Castoro, 1999
Amiel, Vincent, Kieslowski. La coscienza dello sguardo, Le Mani, 1998
Ripa di Meana, Gabriella, La morale dell'altro. Scritti sull'inconscio dal "Decalogo" di Kieslowski, Liberal Libri, 1998
recensioni di Cortellazzo, S. L'Indice del 1999, n. 04

Nel 1989 l'opera di Kieslowski venne fatta conoscere in Italia grazie a una retrospettiva e a un volume, ormai introvabile, insuperata analisi del nostro paese del lavoro del maestro polacco. Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal, curatori della personale e della monografia, mettevano in luce con estremo rigore e sensibilità esegetica i caratteri precipui della poetica kieslowskiana. E tali spunti di riflessione sono stati ampiamente ripresi nei numerosi studi pubblicati successivamente: la necessità di sfuggire a qualsiasi tentativo di rigida classificazione nei confronti di un cineasta da sempre solitario e indipendente, lucidamente pessimista, freddo e impietoso nella sua analisi dell'uomo e della società, costantemente impegnato a mettere in scena vicende narrate al condizionale, costellate di punti interrogativi o dilemmi, che lavorano sull'inspiegabile nesso tra il caso e la necessità, la coincidenza e il destino.

A dieci anni di distanza da questa prima monografia, sono uscite quasi in contemporanea una serie di pubblicazioni sul cineasta, due delle quali traduzioni di testi inglesi e francesi. Il lettore non può che stupirsi di fronte al sostanziale ritardo editoriale (colmato in parte da un "Castoro" e da un numero di "Garage", entrambi del 1996), nei confronti di un regista che già nella prima parte degli anni novanta era entrato di fatto nell'olimpo dei grandi autori della storia del cinema, con la scoperta del Decalogo (1989), la repentina uscita di La doppia vita di Veronica (1991), nonché il successo di Tre colori: Film blu (1993), Film bianco (1993), Film rosso (1994).In seguito all'improvvisa scomparsa agli inizi del 1996, Kieslowski è poi venuto di fatto a occupare un posto a parte nell'immaginario degli spettatori, quello destinato a coloro di cui si rimpiange ciò che non hanno potuto lasciare al piacere (o al dolore) degli occhi e del cuore.

Kieslowski racconta Kieslowki ha un grandissimo pregio: quello di lasciar parlare a ruota libera il cineasta senza interruzioni di sorta a opera dell'intervistatore, in questo caso Danusia Stok, il cui paziente lavoro di riscrittura ha implicato la scelta soggettiva, modesta e delicata, di autocensurare il proprio lavoro di interlocutore preparato e attento. Stok privilegia la forma del racconto, trasformando il volume in una sorta di autobiografia molto libera, che parte dai ricordi legati all'infanzia e all'adolescenza sino al diario e commento dell'ultima trilogia realizzata in Francia.Molto ricca, nonché inedita, la prima parte del volume in cui il regista ricostruisce, senza patetismo alcuno, un'infanzia immersa negli stenti, al seguito di un padre tubercolotico che si spostava frequentemente attraverso la Polonia, di sanatorio in sanatorio. E fra tali ricordi intimi emerge il flash del primo film visto (Fanfan la Tulipe), la memoria dei tanti libri letti (Kieslowski vi dedicava giocoforza molto tempo poiché, anche lui sofferente ai polmoni, non poteva permettersi la vita dei suoi coetanei).

Nell'atto di ricostruire frammenti della propria esistenza, il cineasta confessa - e si tratta di una delle parti più coinvolgenti del volume - di essersi spesso ritrovato a rammentare episodi quasi sicuramente immaginati o raccontatigli da qualcun'altro, in realtà sedimentati nel proprio ricordo come parte integrante di proprio vissuto. Ecco allora, e qui si racchiude molta della fascinazione del volume, che spesso l'autore si interroga sulla veridicità delle proprie parole, ma sovente anche il lettore non può esimersi dal dubitare che ciò che viene dato per vero non sia in realtà che pura immaginazione. E quanti inevitabili paralleli e correlazioni si attuano, mentre si legge, con il mondo della documentazione e poi della fiction messo in scena dal regista polacco.

Di grande interesse sono le pagine dedicate alla poetica, a quel "regno delle superstizioni, delle predizioni, dei presentimenti, dell'intuizione, dei sogni, che fa parte della vita più profonda dell'essere umano e che è la più difficile da filmare". Su tale mondo, e non solo, si concentra il denso studio di Vincent Amiel, che, rifuggendo volutamente un approccio simbolico, procede per suggestioni e spunti interpretativi, lavorando con passione sulle modalità dello sguardo cinematografico kieslowskiano, intessuto di dubbi ed esitazioni. Oltre a un'ampia riflessione sull'opera presa nel suo complesso, di notevole livello sono le analisi sui singoli film, che entrano nel testo da più prospettive.

Sul corpus del Decalogo, di grande fascino metafisico, si concentra la pubblicazione della psicoanalista Gabriella Ripa di Meana che, catturata dall'audacia della concezione del testo prescelto, procede nell'indagine "decostruendo, quasi scomponendo, proprio l'aspetto più 'espressivo' dell'opera", per ricercare "quelle geometrie inconsce che iscrivono, a vario titolo, i protagonisti nello specchio dell'immaginario, nelle crepe del reale, nonché tra le regole e gli sgretolamenti del simbolico".

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