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Scritto in maniera modesta. Un libro decisamente non ultimato, doveva lavorarci un pò di più. Avagliano prima dava più garanzia.
un grandissimo libro che trascina una vena di cruda osservazione tipica del compianto e dimenticato Luigi Compagnone.... un futuro inquietante che nasce da una spietata analisi di un presente sempre più preoccupante e che non riguarda solo Napoli (pardon! la città dei crolli).... un bel libro che coraggiosamente rinverdisce la grande letteratura nata all'ombra del Vesuvio..... sfuggiremo ai crolli materiali e morali???? un gran libro da leggere e che meritava di sicuro una maggiore attenzione allo Strega.... buona lettura.... UN SALUTO, GIOVANNI NACCA
Romanzo di notevole spessore narrativo, si sente che De Santis tratta le parole con grande sicurezza e maestria. Bella l'atmosfera in cui galleggia la vicenda, apprezzabile la commistione fra il tentativo (riuscito) di denuncia sociale e quello (riuscitissimo) di mantenersi nel surreale. Lo stile è sempre molto elevato, forse bisognerebbe soltanto emendare l'opera da un eccesso di 'napoletanità' la quale, lungi dall'essere un difetto, anzi, traspare comunque più che sufficientemente dall'inizio alla fine, talvolta in modo troppo debordante. Altro piccolo difetto è la non perfetta gestione del numero di crolli, effettivamente un po' eccessivo (sette in una notte non sembrano plausibili); ma forse è un 'difetto' voluto proprio dal bravissimo autore?
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È una città di mare con i suoi abitanti quella che il cinquantenne scrittore partenopeo Sergio De Sanctis descrive in questo suo primo romanzo, che segue alla sua opera d'esordio, la raccolta di racconti Malussia, storie del vulcano muto (Avagliano, 2000). I protagonisti sono tre: Schizzo, un ragazzo senza famiglia che vive in una grotta di tufo insieme a due fratelli, Sante l'artigiano, che ha la caratteristica di parlare con qualsiasi meccanismo e di ridargli una nuova funzionalità, e la sorella Maria, che è impegnata nella sua opera di depurazione autentica di testi letterari, costretta com'è su una carrozzina. Lo scugnizzo senza famiglia è abbarbicato a una sua realtà notturna, così come al suo computer Untitled. Tutt'attorno c'è una città che ha perso - cancellato - la sua identità sotto una serie di crolli che l'hanno trasformata in un paesaggio lunare dove la new economy è quella del baratto, figlia delle necessità e non dei desideri. Il contraltare è dato dalla città dei ricchi che esclude la prima arroccandosi nei suoi privilegi.
Perché De Sanctis narri usando questo scenario e un linguaggio parossisticamente realistico non lo sappiamo. Ma forse questa scelta di distanza dal reale mediatico intende riappropriarsi di un modo diverso di presentare una Città e un Occidente, altrimenti irraccontabili: in una temperie fatta di fiction idiota da marketing arretrato. L'unico libro che ha qualche somiglianza per la metafora utilizzata - oltre al citato Luigi Compagnone, in apertura: ma qui la similitudine letteraria richiama una prospettiva di scelta narrativa - è il misterioso anch'esso La voragine di Luca Rossomando. La struttura del testo merita una citazione: De Sanctis divide la narrazione in una settimana che parte dal sabato: quasi uno sbarcare il lunario che richiama la tradizione ebraica o una laica liturgia delle ore. Il finale invece è intitolato Salva con nome . Tutti questi accorgimenti consentono a De Sanctis di discorrere tra le righe di quei temi che gli stanno a cuore: il vuoto dell'anima; una civiltà tecnologica che controlla il nostro comunicare, ma anche le nostre preghiere. Di evidenziare come la civiltà delle immagini sia fallace e di come la religione a volte produca danni incalcolabili.
La soluzione? Quella di capire e di crescere nella capacità critica, come fa Schizzo che riesce nel dialogo con l'avvocato a trovare la sua modulazione di frequenza. Il capire, però, non aiuta a salvarsi l'anima o a rendere giustizia. Forse la soluzione è nell'andare, nel ritmo: "un currje, currje guaglione" a futura memoria (se la memoria ha un futuro).
Vincenzo
Aiello
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