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La storia al cinema. La schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg - Natalie Zemon Davis - copertina
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La storia al cinema. La schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg
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La storia al cinema. La schiavitù sullo schermo da Kubrick a Spielberg - Natalie Zemon Davis - copertina
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Descrizione


Il rapporto fra storia scritta e storia raccontata per immagini è al centro di questa affascinante incursione di una storica nelle rappresentazioni della resistenza alla schiavitù offerte dal mezzo cinematografico. Natalie Zemon Davis, che scrisse Le retour de Martin Guerre e collaborò come consulente per l'omonimo film francese, affronta qui la questione di come l'industria cinematografica abbia ritratto gli schiavi nelle opere di cinque grandi registi: "Spartacus" di Stanley Kubrick (1960), "Queimada" di Gillo Pontecorvo (1969), "La última cena" di Tomás Gutiérrez Alea (1976), "Amistad" di Steven Spielberg (1997), "Beloved" di Jonathan Demme (1998). Attraverso la scelta di un tema specifico, l'autrice sottolinea le potenzialità proprie del cinema di narrare il passato in modo efficace e significativo e di proporre riflessioni convincenti su eventi e processi storici; a condizione però di rimanere fedele alle fonti, lasciando spazio alla creatività e all'invenzione nell'ambito della plausibilità e della verosimiglianza.
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Dettagli

2007
13 giugno 2007
174 p., ill. , Brossura
9788883342639

Voce della critica

La lettura storica dei film è, dalla fine degli anni sessanta e dagli scritti di Marc Ferro e Pierre Sorlin, pratica consueta per gli studiosi dell'età contemporanea. Molto più raro è il caso di storici di età precedenti che si siano occupati di cinema dal punto di vista della propria disciplina: per questo è interessante che due modernisti, Carlo Ginzburg e Natalie Zemon Davis, abbiano a distanza di tempo percorso strade per certi versi complementari.
Al centro di un saggio del 1983 (Di tutti i doni che porto a Kaisàre… Leggere il film scrivere la storia, in "Storie e storia", n. 12), Ginzburg poneva la nozione di spaesamento: cioè la capacità di alcuni film e di alcuni libri di storia di meravigliare, facendo intravvedere il diverso da ciò che ci si aspetta, "contro una percezione che livella". In particolare Dies irae di Dreyer conteneva per Ginzburg "una grande intuizione storiografica": nella scena dell'interrogatorio dell'anziana sospettata di stregoneria tutto – posture, abbigliamento, dialoghi, inquadrature – convergeva a mostrare la situazione non "come uno scontro tra il bene e il male, ma come uno scontro tra perseguitati e carnefici, entrambi in buona fede, e quindi senza anacronismi".
Nel volume di Zemon Davis ritorna invece più volte il concetto di "plausibile", vale a dire qualcosa che serve ad avvicinare alla verità e utile come "esperimento di pensiero". Zemon Davis è storica attenta soprattutto a vicende collettive di gruppi marginali e a biografie dall'andamento avventuroso. È anzi proprio per aver partecipato come consulente alla realizzazione del film Le retour de Martin Guerre, mentre in parallelo scriveva il libro omonimo, che Zemon Davis incominciò a considerare il film storico come un "esperimento di pensiero": una buona storia da raccontare per iscritto può essere anche una buona storia da mettere in immagini. Il problema è allora capire "quanto siano rilevanti per la qualità storica e per l'attendibilità di un film" le regole scientifiche del fare storia, che Zemon Davis così riassume: mantenere la distanza dal passato, rendere accessibili le fonti, dichiarare vuoti e lacune documentarie, non giudicare, non falsificare.
Questi discorsi si applicano qui a cinque film accomunati da un tema forte, la resistenza alla schiavitù: Spartacus di Stanley Kubrick (1960), Queimada di Gillo Pontecorvo (1969), La última cena di Tomás Gutierrez Aléa (1976), Amistad di Steven Spielberg (1997), Beloved di Jonathan Demme (1998). Il libro non è una mera tassonomia di ciò che è o non è storicamente plausibile in ciascuno dei film, ma una serrata analisi su più fronti: la genesi di ciascun film, comprese le motivazioni personali di produttori, sceneggiatori, registi, attori; il rapporto con le fonti scritte – romanzi, saggi, documentazione originale – usate per la trasposizione cinematografica; la funzionalità delle variazioni usate nella finzione; l'attenzione agli aspetti storicamente meno accessibili della vita degli schiavi: e dunque religiosità, spiritualità e spiritismo, senso e pratica della famiglia e dei legami. Ma, soprattutto, l'esercizio di immaginare soluzioni narrative e filmiche diverse da quelle adottate: contro le tendenze ad assimilare il passato al presente, anche lo sguardo dello storico che si fa creativo può essere occasione di spaesamento.   Germana Gandino

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Conosci l'autore

Natalie Zemon Davis

1928, Detroit

Natalie Zemon Davis (Detroit 1928) ha insegnato nelle più prestigiose università degli Stati Uniti e d'Europa: Yale, Berkeley, Princeton, Oxford, Parigi. Oggi insegna Storia e antropologia e Studi medievali all'Università di Toronto. Tra le sue opere tradotte in italiano: Le culture del popolo. Sapere, rituali e resistenze nella Francia del Cinquecento (Torino 1980); Il ritorno di Martin Guerre (Torino 1984); Donne ai margini. Tre vite del xvii secolo (Roma-Bari 1996). Inoltre ha curato il terzo volume della Storia delle donne, diretta da Georges Duby e Michelle Perrot (Roma-Bari 1995).

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