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Nei giorni 22-25 maggio 1996 si è tenuto, presso l’Università della Tuscia (Viterbo) e la Libera Università ss. Maria Assunta (Roma), un Convegno dedicato ad uno dei maggiori “moralisti” francesi del Seicento: Jean de La Bruyère, in occasione del tricentenario della sua morte e dell’ultima edizione dei Caractères apparsa in vita dell’autore. Non per caso, o per capriccio, gli organizzatori del Convegno hanno promosso il prisma a simbolo del Convegno stesso; secondo Pierre Nicole, questo poliedro trasparente – dotato della proprietà di scomporre la luce, a seconda dell’angolo d’incidenza, in diversi colori – è metafora del cuore umano, che si frappone, generando una conoscenza deformata e soggettiva, tra l’io e il mondo. Il fascino del prima e la sua pregnanza simbolica sono dunque legati al gioco fra l’uno e il molteplice, l’assoluto e il relativo, la realtà e l’apparenza. Ma la metafora del prisma può essere anche adattata all’insieme della letteratura morale, con la sua infinita variazione intorno a luoghi comuni del discorso dell’uomo, ove basta un leggero spostamento del punto di vista – o un uso più sapiente di strumenti retorici o simbolici – perché cose note, divenute repertorio impersonale di saggezza, siano fatte proprie da ogni autore e dette come nuove e, in un certo senso, irripetibili. L’arco delle relazioni raccolte in questo volume testimonia l’ampiezza degli argomenti mesi a fuoco durante i lavori; inizia con una sezione dedicata allo studio della tradizione dei trattati comportamentali in Italia tra Cinque e Seicento; si sviluppa con i saggi dedicati a La Bruyère; si prolunga in studi su altri moralisti (La Rochefoucauld, La Mothe Le Vayer, ecc.); si allarga, esplorando zone limitrofe, chiamando in causa il teatro (un genere che, nel Seicento, sentì profondamente la vicinanza della scrittura morale) e aprendo all’orizzonte della modernità, o della postmodernità, con un’interrogazione sui rapporti tra moralistica classica e pensiero contemporaneo).
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