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Il futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?
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Il futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione? - Angelo D'Orsi - copertina
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futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?

Descrizione


Un secolo fa, nel febbraio 1909, veniva dato alle stampe il "Manifesto" con cui nasceva una delle ultime avanguardie artistiche: il futurismo. L'inizio di un tragitto che avrebbe visto intrecciata indissolubilmente la vicenda del movimento a quella del suo fondatore Marinetti. Il futurismo espresse subito una forte passione politica modernizzatrice: le "masse agitate dal lavoro e dalla sommossa", la guerra "sola igiene del mondo", le "belle idee per cui si muore", il "disprezzo della donna", ma anche la sua emancipazione. La fase "eroica" si esaurì con la Grande Guerra, che condusse al sodalizio Marinetti-Mussolini. Il "teppista" diventò così uomo di potere, l'avanguardista che voleva chiudere musei e accademie indossò gli abiti di "accademico" d'Italia. Solo la morte, nel 1944, gli impedì di giungere all'onta della disfatta senza onore del regime fascista e della Repubblica Sociale Italiana. Il libro affronta i temi principali del rapporto tra futurismo e politica, anche alla luce delle analisi di A. Gramsci, mettendone in luce i diversi, contraddittorî aspetti, dando spazio alle componenti di sinistra del movimento, ben presto emarginate.
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Dettagli

2009
20 gennaio 2009
344 p., Brossura
9788884026521

Voce della critica

Da consigliare caldamente a tutti, e massime ai giovani, la lettura di questo libro, perché dice le cose come stanno (ovvero come stavano) in merito alla nostra avanguardia proto-novecentesca e alla sua precisa consistenza politica. Il volume si articola, dopo un'introduzione in cui l'ermeneutica gramsciana è opportunamente al centro del discorso, in alcuni capitoli dedicati ai legami che strinsero storicamente il futurismo ora al nazionalismo, ora all'arditismo, ora al fascismo, e in altri capitoli che delineano la vicenda del meteorico Partito futurista italiano, o approfondiscono il bellicismo futurista nelle diverse occasioni che si presentarono, dalla guerra di Libia alla Grande guerra al 1919, o cercano di carpire le frange ultra-minoritarie di un futurismo di sinistra, o infine descrivono il crepuscolo del futurismo nel corso del regime, o meglio il suo "trionfo" ambiguamente istituzionale. Segue una dettagliata cronologia e un'antologia di testi davvero illuminante, soprattutto per i non specialisti.
Bene, il maggior pregio del volume è la chiarezza, non solo di esposizione ma di posizione. D'Orsi, nobilmente sul solco di Bobbio, ritiene funzionale la distinzione destra-sinistra per capire la storia e la politica, e non esita a collocare, con dovizia di documentazione, il futurismo nella cultura di destra. È bene che sia chiaro: le operazioni compiute da sinistra per interpretare il futurismo, almeno nella sua forma originaria come movimento artistico rivoluzionario svincolabile dal pensiero-azione di destra che ha strutturato il Novecento europeo (ovvero la sua prima metà), sono operazioni fallimentari. Il futurismo è l'avanguardia della filosofia/prassi della violenza, della guerra, dell'assalto, della virilità, della penetrazione e sfondamento, dell'inegalitarismo, della modernità come massacro, dell'estetizzazione della forza come splendore primitivo dei maschi àristoi e quindi paradigma di governo delle masse. D'Orsi fa bene a citare spesso Mario Morasso e il suo niccianesimo un po' bruto ma facile a essere assimilato. E ha buon gioco a evidenziare il ruolo centrale che ha l'esaltazione della guerra nella vicenda del futurismo e di Marinetti, dal manifesto del nove al funebre penoso Quarto d'ora di poesia della X Mas del '44. Il flirt con il massacro, che identifica la modernità, è lussuria futurista fino in fondo; l'estasi disgustosa del carnaio e del sangue che connota la cultura lacerbiana è consustanziale al marinettismo. E così via.
L'Italia, insomma, è stata avanguardia del fascismo, ovvero dei fascismi europei, ed è stata avanguardia dell'avanguardia, avendola inventata con il futurismo e quindi avendola definita come destrudo estetica e socio-antropologica. Questa è cultura di destra novecentesca, solo che mentre Benn, o Céline, o Pound, o Cioran, in percorsi ideologici e biografici diversi, sono stati grandissimi scrittori, Marinetti e gli altri sono risultati ineluttabilmente mediocri sul piano delle risultanze artistiche. D'Orsi non affronta direttamente il giudizio di valore in sede estetica, e quindi sono interamente responsabile di queste righe conclusive: sul futurismo, proprio in occasione delle ricorrenze e delle celebrazioni, bisogna avere l'occhio limpido e il giudizio sgombro. Se l'Italia storicamente ha avuto (e forse ha ancora) il privilegio genioso di proporre l'avanguardia politica del peggio, non cerchiamo di indorarci la pillola. E riconosciamo serenamente che si può sempre migliorare.
Roberto Gigliucci

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Conosci l'autore

Angelo D'Orsi

Angelo D’Orsi, allievo di Norberto Bobbio, già Ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. È membro dell’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Labriola e di quella di Antonio Gramsci, autore al quale ha dedicato numerosissimi studi. Svolge anche attività di commentatore giornalistico e di organizzatore culturale. Ha ideato e dirige le riviste Historia Magistra e Gramsciana. Tra i più recenti libri: Alfabeto Brasileiro. 26 parole per riflettere sulla nostra e l’altrui civiltà, con un fotoreportage di Eloisa d’Orsi (Ediesse, 2013); Inchiesta su Gramsci. Quaderni scomparsi, abiure, conversioni: leggende o verità? (Accademia University Press, Torino 2014); Gramsciana. Saggi su Antonio Gramsci...

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