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Anno edizione: 2001
Heinrich Wölfflin ha scritto che ogni ricerca storico-artistica dovrebbe contenere al contempo anche una parte di estetica. Questo lavoro cerca di prendere questa affermazione alla lettera: suo scopo è infatti quello di mostrare come alla base dei più rappresentativi e influenti modelli storico-teorici dell’arte sviluppati nell’ambito della cultura tedesca tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento (cioè nelle dottrine stilistiche di Gottfried Semper, Alois Riegl e dello stesso Wölfflin) sia operativa un’estetica. “Estetica” non tanto nel senso di una filosofia dell’arte o del bello, quanto piuttosto nel senso originario di teoria dell’aisthesis. La storia dell’arte diventa allora – nel contesto di una radicale storicizzazione dell’estetica trascendentale kantiana, condotta sulla scorta del purovisibilismo e della teoria dell’empatia – storia dell’estetica come storia delle condizioni di possibilità dell’esperienza sensibile. Il senso della celebre “storia dell'arte senza nomi” si chiarisce dunque facendo ricorso non alle potenze sovrapersonali della filosofia della storia dell’arte hegeliana (come spesso è stato tentato), ma piuttosto alle prassi anonime della mano e dell’occhio, del gesto e del corpo proprio. La storia degli stili si fa così storia della percezione e della corporeità vivente. Il presente studio vorrebbe descrivere la storia di questo approccio, mostrando anche come esso lasci in eredità al Novecento francese (a Maldiney, a Dufrenne, a Deleuze) il compito di pensare la storia dell’arte come storia della sensazione.
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