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Ho letto Emporium con interesse e piacere quasi fisico, divertendomi e incazzandomi. Rare volte mi è capitato di leggere poesia civile così stilisticamente sorvegliata, che mi ha fatto ricordare alcuni grandi del passato. Analisi spietata e invettiva, che tracimano poi nel metafisico senza speranza e religione: "con il suo sputo di rabbia e d'amore/ pulirà il vetro del cielo... è stato un grande sbaglio fare il mondo / e soprattutto darlo in mano all'uomo... per ritrovarci / tutti uno dopo l'altro, inesorabilmente /il sacchetto di polvere che siamo". Una meditatio sulla nostra esistenza, sulle nostre paure, sulla sparizione dell'etica, sul travisamento di due parole fondamentali: politica e democrazia. Salvatore Martino
Non a caso Onofrio sceglie il titolo "Emporium", e non il più moderno "Emporio". La parola "emporium" nell'antichità significava luogo di scambi commerciali e di contatti tra culture. "Emporium", associato all'indignazione, diventa una satira dei tempi in cui l'indignazione (dal latino "indignus": non degno) non è più un sentimento che nasce davanti, appunto, al non degno. Ora l'indignazione è degenerata in modo acritico e banale: ci si indigna (oppure si fa finta di farlo) per qualunque cosa. Perdendo la parola la sua maestà, si assiste alla perdita del significato originario. Anche l'emporium si degradato in emporio: è diventato il luogo del disordine, degli oggetti ammucchiati, dove non si distingue il pezzo buono da quello di infimo valore. Il percorso di scrittura in "Emporium" è, come al solito in Onofrio, molto intellettuale e raffinato. Marco Onofrio è un provocatore. I suoi libri hanno un ritmo incalzante, sono lava che scende fino all'anima. E' uno scrittore che fa finta di immergersi nei luoghi comuni per offrire al lettore (quello più attento) riflessioni di ben altro spessore. C'è povertà mentale in giro, desertificazione intellettuale, ancora prevale l'apparire a discapito di preparazione, studio, intelligenza. Manca un intellettuale di riferimento, un uomo di pensiero intelligentemente folle, cioè libero e creativo. Abbiamo per fortuna Marco Onofrio. La sua indignazione appare sempre più necessaria di fronte ad una umanità vuota e disperata. Delfina Ducci
Un libro bellissimo e avvolgente, struggente nella sua foga archeologica di far riemergere alla luce del mercato le impalcature erette, solo poco tempo fa, per puntellare il diritto a un lavoro civile e dignitoso. Spazzato via dalla flessibilità, divoratrice di ogni senso del vivere sociale, e dalla Borsa che ritengo la più micidiale e delittuosa arma creata dal capitalismo per far vivere nullafacenti "incriccati" sulla pelle dell'umanità che, viceversa, si alza la mattina per andare a lavorare nei "campi di cotone" chiamati, ad esempio, call-center, stage, contratti di inserimento, part-time, rapporti occasionali di tipo accessorio pagati con il voucher Inps, etc.. Mi fanno ridere le associazioni del tipo "fare futuro", "futuro e libertà", et similia. Dobbiamo lottare per il presente, il problema è disfare per "fare oggi". Grazie a Marco Onofrio per questo poema che mi ha commosso e, non so perché, mi ha fatto pensare ai "Sepolcri". Complimenti sinceri.
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