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indagine interessate con una diagnosi di patologia psichiatrica applicata ad una entità collettiva. peccato la deformazione ideologica che impedisce all'autore di riconoscere un fenomeno generale derivante dalla deresponsabilizzazione individuali nelle organizzazioni complesse. l'idealizzazione dello stato è infatti inspiegabile se si considera di quali misfatti si sono macchiati gli stati. L'autore non si accorge che la forza del modello occidentale sta nella percezione e critica anche delle corporation che all'interno di quel sistema si genera.
Fondamentalmente l’autore sostiene che la corporation è un’entità che, intesa metaforicamente come un uomo, incarna di quest’ultimo solo gli aspetti egoistici. È una creatura fittizia a cui non solo consentiamo di agire come se fosse reale, ma la dotiamo al tempo stesso di poteri ben al di là dei limiti umani. È più longeva, è onnipresente, è transnazionale; e così diventa più ricca e potente di qualsiasi essere umano. Se a ciò associamo una personalità patologica (dettata da un statuto che gli impone il solo perseguimento del profitto) si avrà un quadro completo della pericolosità di questi alieni, incuranti del nostro benessere. Nell’analisi finale, l’autore approda a considerazioni fondamentali sulla natura umana e sui mezzi per realizzarla e offre spunti sulla dicotomia laissez-faire e regolamentazione (l’autore caldeggia un ritorno alla centralità dello stato e della politica facendo rientrare nella funzione di profitto della corporation anche il costo delle esternalizzazioni).
Recensioni
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"Come Charles Wilson, all'epoca presidente della General Motors e segretario alla Difesa, disse a una sottocommissione del Senato negli anni trenta, 'quello che va bene per la General Motors va bene per il paese'". Nella celebre frase del manager statunitense Charles Wilson – pronunciata in realtà nel 1952, al momento di presentare le credenziali in Senato per la nomina nel primo governo Eisenhower – si riassume il nocciolo di questo lavoro, dal quale i cineasti canadesi Mark Achbar e Jennifer Abbott hanno tratto un documentario dallo stesso titolo. Opera di un docente di diritto della University of British Columbia, il libro esplora il tema della responsabilità sociale delle grandi imprese statunitensi e della loro tendenza a sovrapporre i propri interessi a quelli pubblici. La documentazione è costituita da sentenze delle corti dall'Ottocento a oggi, letteratura sociologica e interviste a manager, pubblicitari e quadri del mondo corporate odierno. Ne risulta una rapida rassegna di come la grande azienda, per perseguire i propri obiettivi economici, non abbia esitato a infrangere la legge o abbia combattuto con decisione gli sforzi pubblici di regolazione; sforzi giustificati, secondo l'autore, dal fatto che la corporation fu in origine "creazione dello stato". Nuoce al libro, però, la mancanza di una trattazione esaustiva dell'aggrovigliato processo storico che consentì alla corporation di trasformarsi da ente semi-pubblico a persona giuridica privata.
Ferdinando Fasce
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