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“Ci si meraviglierà un giorno che nel XVIII secolo si sia meno progrediti che nell’epoca di Cesare: allora il tiranno fu immolato in pieno Senato, senza altre formalità che ventitré colpi di pugnale, e senza altra legge che la libertà di Roma”. Con queste parole il venticinquenne Saint-Just, «pallido, fronte bassa, profilo corretto, occhio misterioso, tristezza profonda», tenterà nel suo primo discorso alla Convenzione il 13 Novembre 1792 di spingere la Rivoluzione al suo “limite estremo”: non la condanna a morte, ma l’assassinio di Luigi XVI. Questa evocazione del cesaricidio costituisce l’esito di un processo di riscrittura e reinterpretazione, da parte di Saint-Just, delle formule politiche di Montesquieu. Lo studio qui presentato ne rintraccia e segue origini e profonde trasformazioni, portando alla luce le corrispondenze e le fratture tra la descrizione dell’uccisione di Cesare presente nelle Considérations di Montesquieu (1734) ed il regicidio che Saint-Just teorizzerà mezzo secolo più tardi.
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