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Quando ero appena alle soglie dell'adolescenza, mio padre portò a casa il volume di de' Rossignoli che, appunto venne pubblicato nel 1961, io appena undicenne. Mio padre - anche per il lavoro che faceva (era giornalista) - aveva una grande curiosità nei confronti di tutto ciò che aveva attinenza con gli aspetti "marginali" della cultura, quelli che dalla corrente "mainstream" della critica letteraria, venivano bollati come elementi "di genere" o appartenenti a forme di cultura "popolare" di scarso rilievo e da non prendere in considerazione in maniera seria. Scopersi casualmente il volume e cominciai ad esplorarlo. Inizialmente, fui attratto dal ricchissimo apparato iconografico: fatto di immagini tratte dall'immaginario filmico degli anni '60 che, a sua volta, s'era andato costruendo a partire da alcuni classici della cinematografia muta e dell'Espressionismo tedesco. Immagini di vampiri (con il loro sottinteso erotismo che in alcuni casi diveniva esplicito), della Bella e la bestia, della Mummia, insomma tutte le tipologie dei "revenant". Curiosità e piacere morboso, per alcuni versi, per la mente naif di un ragazzino quale ero io. Poi, a distanza di poco tempo, nella collana dei pocket Longanesi, venne fuori una riedizione del classico "Dracula" di Bram Stoker che lessi avidamente, in alcuni pomeriggi assolati d'estate. Con questo bagaglio di letture ritornai al volume di de' Rossignoli, questa volta non solo per guardare le figure, ma per leggere il testo. Nacque così in me una profonda passione per la letteratura sui vampiri che, nel corso degli anni, continuai a coltivare sia nella cinematografia sia nei libri. "Io credo nei vampiri" e il Dracula di Bram Stoker rappresentarono di questa passione l'esordio folgorante. Il volume di de' Rossignoli è rimasto introvabile per oltre 40 anni. Ed è davvero meritoria questa iniziativa della Gargoyle di farne una nuova edizione, arricchita da una prefazione di Danilo Arona e da una postfazione di Loredana Lipperini (e nota iniziale di Angelica Tintori).
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