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In questo libriccino stampato con inchiostri ecologici su carta riciclata, lo scrittore toscano Vanni Santoni (Montevarchi, 1978) ha dedicato una sessantina di paginette, simpatiche e veloci al mondo dei ragni. Se l'aracnofobia sembra essere la paranoia più diffusa tra gli italiani, secondo approfondite indagini statistiche, Santoni confessa di esserne rimasto vittima solo in età adulta. Perché da bambino i ragni lui li amava: li cacciava e catturava con i suoi amichetti (Federico, Tommaso, Francesca...), nella casa di campagna, nelle cantine, nei boschi. E poi li torturava, staccando loro le zampette, soffocandoli nel miele, asfissiandoli in barattoli. Li trovava ovunque: in bagno, sotto le lenzuola, addirittura nel brodo preparato dalla nonna; ne studiava le caratteristiche e le abitudini sui libri, o li sceglieva come protagonisti dei videogiochi. Piccoli, grossi, pelosi, neri-gialli-marroni-rossi-rosa, filiformi o tozzi, spaventati o aggressivi, solitari o in colonie, velenosi come la vedova nera e il ragno eremita, giganti come la tarantola e la migale. Al liceo e all'università il futuro scrittore scopre i ragni nel cinema, nei fumetti, nei giochi di ruolo: e poi se li ritrova ovunque durante i viaggi in Nord Europa, in Texas, in India, nei campeggi o nelle camere d'albergo con le fidanzate. Finché avviene la tragedia che trasforma negativamente il suo rapporto con la specie degli aracnidi: viene punto al mignolo da un ragno velenoso, al pronto soccorso lo anestetizzano e gli asportano la parte necrotizzata, ricucendola poi con cinque punti. Amore e interesse si convertono allora in diffidenza, paura, rabbia, odio cieco, sentimenti che possono essere riconosciuti e neutralizzati magari con l'esercizio di una scrittura ironica.
Recensioni
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