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Le Corbusier dopo Le Corbusier. Retoriche e pratiche nel restauro dell'opera architettonica - Susanna Caccia - copertina
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Le Corbusier dopo Le Corbusier. Retoriche e pratiche nel restauro dell'opera architettonica
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Le Corbusier dopo Le Corbusier. Retoriche e pratiche nel restauro dell'opera architettonica - Susanna Caccia - copertina
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Descrizione


Il restauro di un'opera autoriale, il difficile rapporto tra fama, memoria e oblio, sono alcuni dei temi che questo volume tenta di affrontare. Un racconto che passa attraverso la storia e la storiografia del restauro delle architetture lecorbuseriane, nel loro intreccio non solo con i diversi aspetti metodologici ma soprattutto con le pratiche del restauro. Pratiche che lo stesso Le Corbusier a partire dagli anni Cinquanta ha contribuito ad avviare, in un'ottica personalissima, come ben testimonia l'intricata vicenda della Villa Savoye, ma non solo. La lettura di diversi cantieri, dalle Ville La Roche e Jeanneret alla Cité de Refuge, prova a delineare in maniera organica il dibattito critico attorno al restauro della modernità architettonica. Una strada interpretativa che non tralascia di tenere insieme una storicizzazione della letteratura su Le Corbusier e la riflessione sul restauro delle sue architetture, anche contestualizzando l'ampio dibattito sul patrimonio e la patrimonializzazione che ha preso corpo in questi ultimi vent'anni.
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Dettagli

2014
26 febbraio 2015
Libro universitario
252 p., ill. , Brossura
9788891705785

Voce della critica

  Il prossimo anno prenderà corpo un curioso paradosso. Lo scorrere davvero non lineare del tempo vuole che un cinquantenario si celebri ventisette anni dopo un centenario: stiamo parlando della morte e della nascita di Charles-Edouard Jeanneret, l'amatissimo e detestatissimo Le Corbusier. Al di là di una delle virtù oggi più pericolose, l'ironia, quest'inversione del tempo consentirà di valutare se e cosa è mutato non solo nell'interpretazione dell'opera dell'architetto, ma anche nell'approccio biografico e monografico di una letteratura, quella architettonica, decisamente in crisi. E consentirà di capire come si sono venute maggiormente discostando dal 1987 a oggi impostazioni e fonti nell' interpretare Le Corbusier. Un libro appena uscito, Le Corbusier dopo Le Corbusier – che richiama non solo nel titolo il testo di Stanislaus von Moos e di Arthur Ruegg, Le Corbusier before Le Corbusier (Yale University Press, 2002) – ce ne offre l'opportunità a bocce ancora ferme: il vero adjunct of value lo offre il restauro delle opere, oggetto fondamentale del lavoro di Susanna Caccia, giovane docente di restauro a Firenze. Il restauro impone di partire dall'opera come documento, imponendo a studiosi e progettisti del restauro una visione non naturalistica né originaria. Non si tratta di recuperare la tradizione del restauro al servizio della storia (tradizione in primo luogo tedesca e italiana) ma di considerare il restauro un'indagine che accompagna alla riscoperta dell'opera e del suo farsi, dalle palettes di colore agli infissi, dalle ditte di artigiani ai mâitres d'ouvrage, al progetto come attività propriamente intertestuale, ritrovando le gerarchie che hanno dato forma a quell'architettura. Uno studio di azioni, più che di gesti di pratiche, non come esecuzione, ma come negoziazioni tra attori del cantiere, che consente la mise en intrigue con gli altri testi che lo storico dell'architettura deve saper connettere: il disegno, la scrittura, le fotografie, la recezione dell'opera e il suo possibile ricadere sul restauro stesso: caso quanto mai delicato nelle vicende del Le Corbusier dopo Le Corbusier, come sostiene l'autrice. Un restauro che nel caso dell'opera di Le Corbusier si scontra con i due fantasmi più ricorrenti, almeno di tutta la storiografia autoriale: l'originalità e l'autorialità. Susanna Caccia li affronta con leggerezza e senza cercare impossibili quadrature del cerchio. Per quanto riguarda l'originalità, sceglie la strada della teoria della recezione e lo fa indagando sui processi che lo stesso Le Corbusier aveva avviato con il primo e soprattutto il secondo volume delle sue Oeuvres Complètes: la costruzione della fama e delle regole della recezione delle sue opere. Come già sottolinea Werner Oechslin, in un saggio del 1987, Les Cinq Points d'une Architecture Nouvelle, Susanna Caccia distingue il processo che istituzionalizza la sua fama e che ha nell'avvio del processo di restauro della Villa Savoye il suo punto di snodo, come rivela l'autrice, dal riconoscimento, molto più oscillante, contradditorio che, a partire dal decennio dell'oblio e della riscoperta dell'opera di Le Corbusier, si produce. Rispetto all'autorialità il taglio di lettura scelto è legato a un passaggio, insieme culturale, economico e sociale, che il restauro oggi sta conoscendo, quello dell'appropriazione, anche e soprattutto dell'autorialità, che i processi di patrimonializzazione in questi ultimi trent'anni inducono. L'autrice propone due casi, quasi paradossali nel loro estremismo. Il primo è quello di una patrimonializzazione a priori, come quello della chiesa di San Pietro a Firminy Vert: chiesa di cui per decenni è esistito il solo basamento e che l'architetto che con Le Corbusier l'aveva disegnata, José Oubrerie, dal 1993 riprenderà a progettare e costruire. La costruzione quasi di un as built non è che la conclusione di un affascinante processo di patrimonializzazione che a Firminy in due decenni inverte la percezione e le forme di valorizzazione anche economiche dei luoghi, facendo leva su una genesi lecorbusieriana dell'intero progetto urbanistico, quanto mai problematica. Ma il processo di patrimonializzazione può evidenziare, quasi paradigmaticamente, le due anime fondamentali che animano i confronti non solo dei restauri. L'appropriazione dell'architettura, ancor più autoriale, può avvenire cercando di restituire l'architettura comme à l'origine, come, all'opposto, voler mantenere le tracce e lasciare gli indizi per il possibile fruitore dei passaggi di chi il luogo lo ha vissuto e manipolato. L'autrice propone, come unità di tempo e spazio di entrambe le strategie, Pessac e il quartiere Frugès, suggerendo una riflessione sull'importanza della retorica (quella fondata su due diverse idee di originalità) come dispositivo narrativo, anche per il restauro, quanto meno da indagare. Il libro offre al suo lettore ancora due spunti importanti, che l'autrice deve alle ricerche di due tra i più importanti studiosi di Le Corbusier: Tim Benton e Bruno Reichlin. La prima è la forza della "tradizione purista" che il restauro delle opere di Le Corbusier reca ancora oggi con sé. Quand les images prennent position, titola Didi Huberman un suo interessante libro (Minuit, 2009). Ebbene non è solo un'epoca (nel libro come exemplum si cita la Maison Guiette e il suo restauro alla metà degli anni ottanta) ma una questione ancora oggi contesa tra gli architetti professionels del restauro e gli studiosi, gli storici in particolare. Uno spunto a cui Caccia riconduce una delle immagini più inquietanti della Villa Savoye, quella con i colori assoluti di poco precedente alle celebrazioni dell'anno centenario. Il secondo spunto, che deve di più all'introduzione di Bruno Reichlin alla recente raccolta dei suoi saggi (Silvana, 2013), è l'intertestualità come strumento che, nel restauro dell'opera, in particolare in quella ancora in corso della villa Savoye, diventa fondamentale per non lasciare ogni elemento (oggi soprattutto che la specializzazione delle pratiche sta quasi atomizzando l'opera) quasi in balia di se stesso. La ricerca, che percorre tutto il libro, tra vero, finto e falso (ad esempio nel caso del restauro del Pavillon Suisse e ancor più nell'infinito restauro della Villa Savoye, avviato dai quattro volumi d'indagine che la Fondation Le Corbusier promuove e pubblica nel 1991), costringe il lettore a muoversi su registri che proprio considerare il restauro come documento aiuta a precisare. Il libro non copre tutti i restauri delle opere di Le Corbusier. La scelta di quali trattare nasce da (e denuncia) le tesi da cui muove. Quest'aspetto, che toglie al libro ogni carattere di manuale o di antologia, aiuta la lettura e provoca le reazioni di chi con quelle tesi può non collimare. Ma in una pubblicistica che ha perso il piacere del critical thinking rispetto o a una narrazione senza anima o a una philologhie als philosophie (così largamente oggi praticate), restituisce alla lettura il suo prendere posizione e offre, nel momento in cui le fanfare stanno per segnare l'inizio di un nuovo ballo Excelsior su Le Corbusier, un punto di vista e un'argomentazione tutte da analizzare, ma certamente non celebrative.     Carlo Olmo  

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