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"Se la signora Irene è stata una tale piaga d'Egitto, il presidente non deve avere una grande esperienza delle donne e dell'amore se non se n'è accorto in tempo. E deve averne ancor meno se lei invece non lo è stata ed egli non sa capire l'avventura, la libertà, il gioco, il rischio, l'intensità dell'esistenza condivisa, la confidenza amorosa che si accresce ogni volta di più, l'odissea del vivere, dormire, invecchiare e soprattutto scoprire e amare il mondo insieme." Piccole istantanee, scatti di vita ordinari e non, un Magris che conquista a piccoli assaggi. Tanti brevi racconti che scavano all'interno e fanno riflettere su dettagli che magari abbiamo sempre trascurato o tralasciato. Nel titolo di ognuno si ha come una cornice e un'anteprima enigmatica di cosa poi avrebbe mostrato quell'istantanea, davvero interessante, anche se di certo è sempre una lettura non da svago ma che necessita di più attenzione e auto riflessione. Una bella scoperta!
Claudio Magris non si smentisce mai; attraverso le sue istantanee, legate in modo particolare alla sua terra di origine, ci fornisce un ritratto moderno, veritiero e a volte beffardo della vita di ognuno di noi e soprattutto dei nostri pensieri. Il suo linguaggio non è mai stancante, da un ritmo particolare al libro che è leggibile ed entusiasmante.
come sempre Magris ci regala un libro fantastico scritto in maniera magistrale!
Recensioni
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"La messa è finita, andate in pace. Solo quando puoi nuovamente ridere, diceva una scritta che avevo letto più di trent’anni fa sulla porta del duomo di Linz, hai veramente perdonato".
In una società dominata dal culto dell’immagine, e da immagini di ogni genere e sorta che ci sfilano davanti come vanitose pin-up sugli smartphone o sugli schermi nel metrò, la Letteratura risponde a tono. In un’ottica di ibridazione fra le arti (analizzata nel dettaglio dal critico d’arte Germano Celant, oltre che da altri eminenti studiosi), e quindi in un mondo in cui pittura moda fotografia architettura e pubblicità diventano spesso indistinguibili, un libro come Istantanee era da un lato prevedibile, e al contempo attesissimo. Non è un libro di poesie, non è un romanzo, non è una sceneggiatura teatrale. «Ceci n’est pas un livre!», avrebbe detto probabilmente Magritte, sprezzante e divertito, se ne avesse sfogliato anche solo le prime pagine. E gli sarebbe piaciuto tantissimo.
Infatti il titolo e ancor di più la scelta dell’immagine di copertina – uno splendido scatto sognante e sospeso di Luigi Ghirri (Ile Rousse, 1976) – si fanno simbolo di quello che il lettore troverà all’interno: una mostra di racconti parole e pensieri, esposti in ordine cronologico, attraverso i quali l’autore, con trascinante ironia e accademica severità, riflette su un presente in continuo mutamento da lui “fotografato”, ossia fissato sulla carta, e infine datato. Queste Istantanee formano quindi un affresco degli ultimi anni, dal 1999 al 2016, andando a comporre quasi un percorso museale. A ogni tappa, una situazione paradossale, un volto ammiccante o una schiera di teli neri nella celebre galleria di Leo Castelli, inducono il lettore a riflettere su tematiche politiche, questioni sociali, sul rapporto con gli altri o più semplicemente su se stesso.A partire da un’istantanea in cui si descrivono le persone-tipo presenti alle convention più esclusive, si ragiona su una società chiusa e bigotta che solo da poco accetta, e ancora a fatica, che l’eminente professore o la ferrea manager possano esservi accompagnati, rispettivamente, da un signore e da una signora; in un’altra istantanea, osservando un graffito lasciato da uno sconosciuto su un muro berlinese, si dipana invece il ragionamento sull’importanza della lettura e della scrittura nella contemporaneità: «Certo, leggere una storia di una vita non è la stessa cosa che viverla o esserne testimoni, sentire parole che toccano il cuore, mentre escono da una bocca. Ma quelle parole ci nutrono grazie a chi le ha fermate e trascritte».
Le Istantanee, come in un’esposizione d’arte, immortalano sì un particolare raggio di luce radente o una scena insolita che merita di essere ricordata, ma non dicono e non possono raccontare tutto. Perché, all’osservatore, vogliono lasciare sempre il privilegio di “dire la sua”.
Recensione di Riccardo Zironi
Quarantotto microracconti disposti in ordine cronologico, dal 1999 al 2016. Sono lampi gettati nel solco del presente che illuminano il prisma dell’esistenza, osservata con una capacità di penetrazione psicologica ?insolita nella narrativa contemporanea. Brevi ?appunti vibranti, rendono un’ampia gamma? di caratteri, sentimenti, ?situazioni (…). La scrittura non teme di inoltrarsi nella sottostoria nostrana, cogliendo con rapido metronomo vuoi la “maledizione del numero verde” e il “quaresimale” della pubblicità televisiva, vuoi le perversioni della burocrazia universitaria e telematica (…). Brilla in questi fotogrammi il gusto per la parodia e, spesso grazie alla pointe finale, esplode una vis comica inconsueta, grato segnale di un’invidiabile salute emotiva. Perché sono pagine, queste, che non di rado muovono al riso, basti leggere il Ritratto di gruppo con giurista addormentato o l’autoironica Scogliera dei famosi. Soggetto privilegiato di molte istantanee è la coppia, quella stabile, affiatata, e quindi in muto equilibrio, o anche sgualcita dalla vita e quindi filmata nelle sue controverse mosse coniugali, interdipendenti eppure ostili (…).
Nella resa delle varie costellazioni affettive non manca una sorta di nostalgia per il “breve incontro” alla David Lean, per la fugace dolcezza di uno sguardo che spinge verso un dove che non ha più nome istituzionale. Più spesso però l’obiettivo mette a fuoco il vissuto quotidiano dei legami consolidati, talora fusi nella mitezza del dialetto (…).. Più vicine all’impianto della celebrata produzione letteraria degli ultimi anni sono quei passaggi in cui Magris scandaglia il buio delle pulsioni elementari dove, senza distinzione di specie, si perde il significato della coscienza. Si prenda la prima folgorante istantanea, La colomba e l’aquila bicipite: qui lo scempio di natura diventa metafora di altro oltraggio perché s’intuisce un’oscura contiguità tra quei piccioni di un giardino pubblico (che “in fila ordinata” montano una colomba morta, “a turno, uno dopo l’altro, mentre il gruppo sta a guardare”) e il branco di allupati giovanotti balneari, “interscambiabili nella loro scurrilità”, che allungano le mani sul corpo innocente di una giovane donna.
Acuto osservatore, Magris scatta un ampio ventaglio di istantanee che nel mutare di situazioni e linguaggi compongono un affresco multiforme. Ma non si defila dietro la camera oscura, al contrario entra lui stesso nel campo visivo, come in Tutto bene – o nel corrosivo autoscatto finale intitolato Selfie, dove il gioco ottico rovescia la figura di un automobilista inferocito e cieco alla realtà sull’io fotografico – pronto a sparire nel buio. Chiuso il libro, resta nell’orecchio quell’effetto stereofonico, quasi a dirci come siamo: stelo e sterpo, scriveva Zanzotto.
Recensione di Anna Chiarloni
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