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Rabet racconta della scomparsa della Ddr e del sogno di chi, dal di dentro, voleva rivoltarla da gabbia in cielo. Un cielo popolato, dipinto da Benjamin Grasmann, compare sulla sua porta di casa, in una strada alla periferia di Lipsia: Rabet, dove si trasferisce ventenne a fine anni ottanta. Là, chiuso nel suo appartamento, Ben sogna di liberarsi dal suo isolamento; attraverso la sua musica entra in un gruppo di dissidenti, giovani che vogliono un'alternativa senza dover scappare né diventare Occidente. L'esperienza dell'autore, lui stesso portavoce di quel movimento e schedato dalla Stasi, anima una prosa piana e densa di immagini, i cui significati si sprigionano in un gioco di rimandi e rovesci di senso. Così agiscono gli slogan della protesta, dove il linguaggio dominante, ribaltato, evidenzia le contraddizioni tra la propaganda del potere e la realtà: "La libertà è sempre la libertà di dissentire", è una frase di Rosa Luxemburg che viene rivolta a grandi lettere contro la Ddr. Lo stato crolla e con esso l'utopia che Ben sogna per il "suo popolo", confluito "nell'altra gabbia", nell'Occidente. L'amore tra Ben e Gesa, sua compagna di attivismo e di musica, con la quale ha una bambina, si intreccia con le vicende storiche narrate in presa diretta. È infatti la riunificazione della Germania, di cui Ben, spontaneo e inconsapevole, è stato uno dei promotori, a segnare il suo distacco dalla figlia, dalla vita di prima, dalla sua patria. Rabet, l'appartamento dalle molte crepe e dagli angoli storti, abbandonato, brucia, e con lui la porta dipinta, il cui cielo, irriconoscibile, si oscura. Rabet è una delle storie di come l'Est, rivoltato in Ovest, sia scomparso.
Sergio Garau
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