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Mia moglie e io - Alessandro Garigliano - copertina
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Mia moglie e io

Descrizione


Questo romanzo ha il passo di una ballata dolente. È la storia grottesca di un giovane uomo senza nome e dall'identità messa a dura prova dalla mancanza di lavoro, e dunque di realizzazione personale. Una mancanza che rischia di annientarlo totalmente fino a quando il protagonista si inventa un mestiere, una forma esistenzialista di anti-rivoluzione contro il mondo: insieme alla moglie mette in scena atti efferati, interpreta diversi cadaveri girando cortometraggi che gli possano dare un giorno una parossistica notorietà: "Mia moglie e io presentiamo a registi, produttori, costumisti e scenografi immagini artistiche di morti di morte violenta. Mettiamo in scena cadaveri imperturbabili con maniacale perizia". Con il ritmo di un montaggio alternato il protagonista intervalla a questa attività, quasi maniacale, una serie di impieghi temporanei: esperienze da manovale, da commesso libraio e da orientatore esperite da un anti-eroe contemporaneo con sovrumano impegno e ossessiva epicità.
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Dettagli

2013
24 ottobre 2013
235 p., Brossura
9788897089773

Voce della critica

  Lui, lei e l'altra, potrebbe essere questa la trama del romanzo d'esordio (segnalato alla XXV edizione del Premio Calvino) di Alessandro Garigliano, se non che a indossare i panni dell'intrusa, in questo triangolo poco idilliaco, non è un'amante avvenente ma una presenza, quanto mai pervasiva nell'intimità domestica di una coppia: la precarietà. Il tema del lavoro, della sua mancanza, della sua ricerca, della sua alienazione non è nuovo (basti pensare alla letteratura industriale). Ma la precarietà di oggi rappresenta qualcosa di nuovo, con una sua specifica e inedita componente di classe, coinvolgendo quanti se ne sono ritenuti illusoriamente estranei grazie a un cursus di studi che avrebbe dovuto garantire un avvenire roseo, acquisito di diritto insieme a un set di valori e di ideali. Finito il sogno, ecco affacciarsi per la prima volta nella storia torme di uomini e di donne svalutati nonostante la scolarizzazione e privi di quella solidità che la protezione di una famiglia agiata un tempo garantiva. Basterebbe questo a indicare la singolarità del fenomeno e la sua portata di radicale mutamento antropologico in atto nella società contemporanea. La precarietà, per quanto non lo si ammetta solitamente, concerne innanzitutto uno specifico ceto sociale, il ceto medio, colto all'apice del suo dissolvimento, insidiandone la quiete sin dentro lo spazio protetto delle pareti domestiche. In modo inconsueto rispetto ai modelli diffusi e senza concedersi ai facili cliché che spesso popolano le pagine della letteratura del precariato, l'autore di questo romanzo registra tale processo di dissolvimento nel momento esatto del suo farsi, mostrando, attraverso il racconto, gli aspetti cognitivi di questo declino e illuminando i tratti più intimi dell'esistenza precaria. La voce monologante di un personaggio spogliato anche del nome, che si descrive con tinte da umor nero, ci accompagna durante le sue peripezie quotidiane, nel miraggio di un lavoro fisso, inerpicandosi tra le macerie del suo io e quelle non meno ingombranti di una società franata, lungo le strade di una città deturpata e aggredita da criminosi "padroni del suolo pubblico". Lo seguiamo mentre attraversa in sella a uno scooter periferie sconfinate, luoghi di un'umanità sempre più degradata, sempre ottimista e sempre vittima di una cocente rassegnazione all'inattività. La sua è un'umanità che si ostina ancora "a brandire principi", valori inscalfibili, "snobbando cibi indigesti e vivendo di soli ideali leggeri", cavalleresca ed eroica. Perso nel sadico girone dei mestieri (sarà carpentiere, impiegato in un ufficio di orientamento per il lavoro, libraio), si adegua a incombenze poco confacenti alle sue velleità culturali e di censo, in una reiterazione compulsiva di occupazioni che mascherano quella beffa linguistica che sono i contratti a progetto: impieghi fittizi dalla durata effimera, veri mostri uroborici che escludono ogni ipotesi di sviluppo, ogni possibilità di crearsi un progetto di vita. Soltanto alla fine, quando la precarietà nelle spoglie di una morte comica e grottesca lo pedinerà fino a casa e sarà sul punto di strapparlo all'affetto della moglie, si aprirà lo spiraglio da cui ricominciare a sperare. La rappresentazione di un tempo divenuto eterno − mescolando invettiva civile e intreccio intimista, a volte ironico a volte drammatico − è scandita pazientemente dal verbo all'imperfetto (come un nastro che raccolga e allo stesso tempo vanifichi ogni esperienza, svuotandola, appiattendola), venendo intenzionalmente meno, attraverso una circolarità narrativa che si sostituisce all'assenza di progressione, alle esigenze strutturali di un romanzo tradizionale. Se infatti questo mantiene, sia pure tra la righe, una pretesa edificante che si dispiega nella successione di eventi più o meno pregnanti, qui, all'opposto, assistiamo a una continua dilazione delle vicende, a una sconsolante involuzione del protagonista. L'autore sferra, senza cedimenti moralistici, una lingua teatralmente espressiva, una vera semantica armata che cerca ostinatamente di fare resistenza al vuoto che avanza. Dalla prima all'ultima pagina una prosa dal ritmo martellante, piacevole all'orecchio, sorregge il testo, con l'adombrato scopo di ricondurre la narrazione alla sua funzione orale: una lettura ad alta voce, magari assembleare e comunitaria, lontana dalla pratica divisiva di un estenuante e solipsistico intrattenimento. Forse per ricordare come alla generazione di oggi occorrerebbe, più che in passato, "che qualcuno cantasse il nostro animo informe".   Alfredo Nicotra    

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Conosci l'autore

Alessandro Garigliano

1975, Misterbianco

Alessandro Garigliano è nato nel 1975 a Misterbianco. Collabora con i blog minima&moralia e Nazione Indiana. Il suo primo romanzo, Mia moglie e io (LiberAria edizioni, 2013), è stato segnalato al Premio Calvino. Il suo secondo romanzo, Mia figlia, Don Chisciotte, è stato pubblicato da NNE nel 2017.

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