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"Cala la sera. Il faro, dall'altra parte della baia è già acceso e si avvita di luce (...) Io me ne sto qui, alla fine del molo del porto vecchio, appoggiata a una ringhiera di ferro arrugginito logorata dal tempo e dalla salsedine." Bellissimo romanzo, che già nell'incipit regala una suggestiva fotografia della sua protagonista, la donna che per tutta la vita ha avuto un faro a guidarla attraverso i numerosi drammi che l'hanno colpita: l'amore. Quello per i figli, soprattutto, ma anche quello per gli uomini, spesso ingrati, crudeli, deboli. La "Zannuta" non si fa corrodere dalla salsedine dei pregiudizi, dalla pura cattiveria che le riversano addosso come un acido, da invidie e gelosie. Rimane semplice, ignorante e anche un po' bruttina, ma affascinante, forte, buona e soprattutto, capace di essere se stessa, una donna che non sa fare nient'altro che amare. Ma dimostra che amare è l'unica capacità che valga veramente. Un romanzo breve ma ricchissimo, da centellinare.
C'e' tutta la forza cruda e fiera della Calabria e della sua gente, in questo romanzo d'esordio di Amneris di Cesare. Un'autrice in grado di evocare con abili pennellate immagini instense, luoghi e soprattutto stati d'animo, persone e storie. Maria 'a zannuta e' una povera donna del popolo, emarginata prima di tutto dai suoi stessi genitori e poi dal paese intero per via di quei dentoni sporgenti, ma soprattutto per via del suo corpo fantastico che ammalia gli uomini. Uomini che spesso la prendono con violenza e la umiliano, lasciandola sola, in una baracca fuori dal paese, con una creatura in grembo. E i figli di Maria diventano la sua ragione di vita, che la faranno andare avanti, sempre e comunque, nonostante le mille difficolta'. E la vita, alla fine, restituisce un po' di felicita' dopo tante lacrime e sangue. Un romanzo che e' uno specchio di un angolo di Italia selvaggio e meraviglioso, e che coinvolge dalla prima all'ultima riga.
Nient'altro che amare, di Amneris Di Cesare. Recensione di Giuseppe Pipino Chi cerca in questo libro un romanzo canonico, con tanti personaggi, una storia che si dipana con un nocciolo problematico e un lieto fine, sbaglia di grosso. Il vero protagonista di questo piccolo, grande libro è l'ambiente, il paesino calabrese in cui la protagonista nasce e trascorre l'esistenza, con i suoi disvalori, i suoi pregiudizi e la sua sottocultura. Di tale paesino non conosceremo mai il nome, perché esso è in realtà il simbolo di un'intera regione, una collettività che il libro spietatamente illumina. Conosceremo invece il nome della protagonista, che dà lo spunto per descrivere tale ambiente: Maria. Nel libro questo nome sembra, tuttavia, casuale. Quello con cui la protagonista attraverserà ogni pagina è: a 'Zannuta, perché aveva due lunghi incisivi, simili a quelli di un coniglio, soprannome regalatole dalla madre fin da piccola, e che si porterà addosso come una ridicola condanna. Del resto l'intero destino di questa donna sembra fissato fin dalla nascita in una famiglia fatta da un padre violento e ubriacone, che la disprezzava non solo perché donna - perciò essere inferiore e inutile - ma perché la sua bruttezza le avrebbe impedito di aspirare all'unico compito che tale ambiente sembra destinato ad assegnare alle donne: un matrimonio con un buon partito. Ma la ragazza non è solo brutta. È ingenua, stupida, incapace di difendere la propria dignità. In definitiva la protagonista, oltre che dell'ambiente sembra vittima di se stessa, del proprio bisogno di essere amata, della crudeltà non solo delle persone, ma di quella del destino che le toglie un figlio - morto mentre rincorreva il primo pallone della sua vita - chiamato Nicolino come il padre. Costui è solo uno degli innumerevoli uomini a cui Maria si concede nella disperata ricerca di una rivincita contro solitudine e disprezzo sociale.
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