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Uno zio immaginario ormai più che anziano che verga queste pagine dalle mura di un ospizio, un geniale istrione che con mille espedienti è riuscito ad aggirare ogni volta il cappio dei debiti che lo hanno cinto per decenni e almeno rimandarne il pagamento, finché ha potuto. Talentuoso ingannatore, seduttivo e coltissimo, si destreggia in questo trattato come fra i commi più nascosti del diritto penale e commerciale, aggiungendoci trucchi e artifici, suggerimenti e scappatoie: "Abitare a piani alti, almeno al quarto, e l'affaccio sempre sul davanti, così che il creditore possa comparirvi un quarto di lega prima all'orizzonte; un buon binocolo vi lascia 10 minuti per il riflettere sul da farsi". E' più che convinto (come non dargli ragione) che in galera dovrebbero andarci unicamente i creditori: "Non sono altro che prestatori su pegno, faccendieri, usurai, indegni mezzani di affari altrui che tendono trappole ai danni di giovani consumatori appassionati e senza esperienza che spesso rischiano il loro avvenire a causa di un momento di ebbrezza e di dissoluzione". E' indubbio che Balzac sviluppi in queste pagine tutte le proprie disavventure debitorie, tutti gli inghippi e le tattiche per fuggirli, rimandarli, escogitando risorse e consigli in dieci capitoli precisi nei quali trabocca come un istinto sociale e una conoscenza sensibile di quel mondo che non ha uguali. Fino alla geniale riflessione sulla magnifica dignità del finire in carcere. Sentite come se ne esce il genio rovesciando una realtà reclusiva in un paradossale istante di grandezza: "E' dimostrato che gli spazi aperti non portano alla felicità: si ha sempre bisogno di vedere e di sentire dei limiti in ogni cosa. Milton lavorava al suo Eden in cantina, Rousseau scrisse le pagine più belle in soffitta, Cervantes compose il suo capolavoro in cella, e zio stilò il suo trattato all'ospizio". Come si fa a non adorare quest'uomo, prodigio letterario come nessuno, vetta fra le vette nell'Olimpo del genio?
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