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Nella postfazione, Bianca Garavelli sottolinea un elemento aggiuntivo rispetto alla precedente ricerca letteraria dell'autrice: “una dolcezza riflessiva” determinata quasi certamente dall'argomento trattato in questi versi. Il libro infatti è interamente dedicato alla figura del padre della poetessa, Piero Quintavalla, “Caro padre/ dal cappello e cappotto infagottato, come un uomo dell'ultima guerra/ che fu soldato, maestro povero,/ poi deportato...”. Vita e morte di un uomo molto amato e raccontato nelle tappe fondamentali della sua esistenza, e poi dell'agonia e della morte, in un omaggio che mantiene lo stile classicheggiante di notissimi Compianti scultorei e pittorici del nostro Rinascimento. Le sette sezioni del volume, corredate da testimonianze scritte dal padre sulla sua esperienza di prigioniero in un lager austriaco e da numerose fotografie su luoghi e protagonisti descritti nei versi, prende le mosse dall'ambiente in cui Piero Quintavalla nacque e fu educato, per soffermarsi poi sul suo matrimonio, sui suoi studi e sulla guerra, alludendo con tenerezza anche a tratti più personali (“il naso lungo/ le mani belle, il fisico da sano contadino”; “il gesto delle mani nelle tasche”). L'autrice ricorda le naturali incomprensioni tra genitore e figlia, gli allontanamenti e le riconciliazioni; ma soprattutto si commuove nel ripercorrere la malattia e la morte del padre, narrata con devota partecipazione al suo sofferto e crudele calvario (Io l'ho tenuto in braccio,/ gorgogliava entro la testa il sangue”). All'asciutta disperazione provata durante una visita al cimitero-sepolcro (“Ma di carta il tuo avello, o padre/ nel cemento spalmato dai ragni,/ su fiorami tra la polvere e il vetro/ ti trovai,/ allineato dal fondo e da stagioni,/ sotto spessa carta già celato il nome,/ mi chinai e non vidi”) segue tuttavia una constatazione consolatoria: “Padre che non sei mai partito affatto”.
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