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Giorni selvaggi. Una vita sulle onde - William Finnegan - copertina
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Giorni selvaggi. Una vita sulle onde

Descrizione


Premio Pulitzer 2016 per la Biografia.

Vincitore del William Hill Sports Book of the year 2016


«Il racconto di un surfista in cerca della propria auto-trascendenza. Un capolavoro» - Geoff Dyer, The Guardian

Nessuno era riuscito prima di Finnegan a far incontrare il surf e la letteratura con tanta maestria. In questo modo Thad Ziolkowski, sulle pagine del «New York Times», saluta la pubblicazione di Giorni Selvaggi, il memoir che William Finnegan, acclamato reporter di guerra del New Yorker, ha composto ripercorrendo le tappe di una vita votata a una personalissima sfida al «Dio oceano». Cresciuto in California e poi alle Hawaii, William Finnegan ha iniziato a surfare da bambino. Ha inseguito l’onda perfetta in giro per i cinque continenti, vagabondando dalla Polinesia all’Australia, da Madeira al Sud Africa, dalle Fiji al Perù.

"Le onde sono il tuo campo da gioco sono l’oggetto della tua adorazione e dei tuoi desideri più profondi. Ma allo stesso tempo sono il tuo avversario, il tuo nemico mortale, la tua nemesi."

Giorni selvaggi è il diario di un’ossessione, un racconto incantato che immerge il lettore in un mondo sconosciuto, pericoloso, fatto di cameratismo e amicizie rese immortali dalla comune sfida alle onde. L’infanzia passata fra i libri e un’adolescenza eccessivamente avventurosa, gli scontri fra gang di adolescenti a Honolulu, i tumulti sociali degli anni ’60, le surfate sotto acido sulle onde di Maui, la scoperta del mondo e dei suoi conflitti. Insignito del Premio Pulitzer 2016, Giorni Selvaggi è un romanzo d’avventura d’altri tempi, una autobiografia intellettuale, un road movie letterario e, soprattutto, una straordinaria esplorazione sul continuo perfezionamento richiesto dall’esigente e poco conosciuta arte del surf.
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Dettagli

2016
30 giugno 2016
416 p., ill. , Brossura
9788898970582

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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Ele
Recensioni: 5/5
Un viaggio fra le onde

Coinvolgente e ben scritto. Tiene alta l'attenzione raccontando affianco alle avventure di surf pezzi di vite e di culture diverse, dando un ampio sguardo sulla trasformazione del mondo durante quegli anni.

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jako
Recensioni: 5/5
mare

il mare è vita

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sergio
Recensioni: 4/5
un compagno di viaggio

ho piacevolmente letto questo libro poco per volta, avendo l'impressione che fosse un compagno a parlarmi. la sua conclusione devo dire che lascia un po' di amarezza e malinconia, piuttosto che la "presa" della parte selvaggia della vita diventa il canto del cigno della giovinezza. le descrizioni delle surfate sono un po' ripetitive e nelle rare occasioni in cui filosofeggia non ha lo stesso valore. rivedibile la traduzione per l'eccesso di anglicismi anche laddove inutili.

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Recensioni

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Voce della critica

A metà strada tra il Bildungsroman e il romanzo d’avventura d’altri tempi, Giorni Selvaggi è soprattutto il racconto di un’ossessione, un memoir intellettuale sul surf, la testimonianza sincera di come questo sport possa cambiarti la vita: un diario appassionante che immerge il lettore in un mondo sconosciuto, pericoloso, da cavalcare fino all’ultima onda.

William Finnegan, editorialista del New Yorker, è un celebre giornalista che ha realizzato importanti reportage di guerra da ogni  continente; ma questa è soprattutto la storia di Bill, un bambino che a dieci anni inizia a surfare le onde della California per gioco, fino a quando non si trasferisce con la sua famiglia alle Hawaii: è lì che quel passatempo si trasforma nella passione cui dedicare una vita intera.
Con il passare degli anni, Bill non smette mai di inseguire le onde in giro per il mondo vivendo ogni genere di avventura, fino a quando non capisce che è giunto il momento di tornare a casa e lì avrà inizio la sua collaborazione con il New Yorker. Da qui la storia di Bill diventa quella di William il reporter, il quale raggiungerà fama internazionale proprio grazie a un leggendario articolo dedicato al mondo del surf.

Recensione di Vito Corciulo
A cura del Master in Editoria dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori

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Ci sono prospettive del mondo che la maggior parte di noi non potrà mai avere, che sono riservate a pochi. Una di queste è la visione della terra, anzi delle terre (spiagge, dune, promontori, scogliere, ponti, porti e villaggi di tutti e cinque i continenti) dalla cresta di unonda mentre sta per frangersi. William Finnegan è uno scrittore eccelso e un surfista sfrontato: leggere come le due cose si uniscono insieme è emozionante, commovente, illuminante, totalizzante. Il suo memoir (Premio Pulitzer 2016) è uno di quei libri che cambiano la vita, senza che per forza dallaltra parte della pagina ci sia un patito del surf. È richiesta solo una cosa, infatti, per apprezzare questo testo al meglio: sapere cos’è la passione.

Marta

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Premessa: questo memoir parla soprattutto di onde. Come si curvano, spingono i corpi, cambiano odore e colore da un luogo a un altro del mondo, dove nascono, come muoiono. Un po’ come per i fiocchi di neve, non ne esistono due uguali. Sopra queste onde galleggia un uomo, in compagnia della sua fidata tavola. La sua vita è stata modellata da queste onde. 
Un po’ brutalmente, Giorni selvaggi si può riassumere così. Quindi: se odiate il mare, e i surfisti come categoria umana – come tutti i cliché, possono essere irritanti, o peggio ridicoli – e preferite piuttosto i titanismi montanari o i vapori lacustri, è meglio se mettete giù subito questo libro e correte a prendere un Mauro Corona d.o.p., o un romanzo di Andrea Vitali.

Ma se ricordate di esservi esaltati quando, da piccoli, avete visto per la prima volta Un mercoledì da leoni o Point Break – due film ambientati in quella società a parte che è l’ambiente dei surfisti, e che i veri surfisti peraltro trovano ridicoli, nella loro inesattezza – e di essere rimasti turbati da quel mix di esotismo/cameratismo/libertà/pelle dorata, mèche naturali/spensieratezza/incoscienza/ generale figaggine, allora Giorni selvaggi è il libro perfetto per la vostra estate.
È stato scritto da una persona che nella vita ha fatto anche altro, oltre a inseguire le onde: autore di cinque libri, staff writer per il New Yorker da molti anni, William Finnegan ha realizzato celebri reportage da ogni continente, occupandosi di guerra civile (in Sudan e Somalia), razzismo (in Sudafrica), povertà (negli Usa), crimine organizzato (in Messico). E prima ancora, più giovane, per sopravvivere ai tempi dei suoi vagabondaggi dietro alle onde, è stato lavapiatti in Australia, frenatore di treni in California, insegnante d’inglese in un ghetto nero di Città del Capo. Con Giorni selvaggi quest’anno ha vinto il Premio Pulitzer per l’autobiografia.

Per i profani, il surf è semplicemente uno sport. Per chi lo pratica, è molto di più: un’arte, una dipendenza, un amore difficile da tradire, che diventa sempre più impegnativo e più pericoloso con il procedere dell’esperienza accumulata. Per il 12enne William, tutto nasce da un evento che per un bambino di solito è traumatico: un trasferimento, e tutto ciò che segue in termini di sradicamento, solitudine ecc. Invece qui è proprio il contrario: per un amante del surf, le Hawaii – il luogo in cui suo padre, produttore tv, ha trovato lavoro – rappresentano la meta in cui prima o poi è obbligatorio andare in pellegrinaggio, come La Mecca per un musulmano o Amsterdam per un fan della marijuana (oggi è il Colorado). “Alla sola idea di vivere alle Hawaii io ero fuori di me dall’eccitazione. Volente o nolente, qualsiasi surfista, qualsiasi lettore di riviste di surf [...] fantastica sempre di trascorrere la sua vita alle Hawaii. E adesso io ero lì, a camminare sulla vera sabbia hawaiana (farinosa, dall’odore sconosciuto), ad assaggiare l’acqua di mare hawaiana (tiepida, dall’odore sconosciuto) e a remare verso le onde hawaiane (piccole, scure, sospinte dal vento). Niente era come me l’ero immaginato”.
I giorni del giovane William sono scanditi dalle lunghe sessioni di surf, prima e dopo la scuola. Ma per un surfista, diventare adulto è qualcosa che avviene lontano dall’acqua: l’apparente improduttività del solcare le onde con una tavola – le lunghe attese, i fugaci, ma potentissimi, momenti in piedi sulla tavola – si concilia poco con le crescenti responsabilità che la vita reale esige: trovare un lavoro, mettere radici in un posto preciso, formare una famiglia. Per seguire le onde bisogna rinunciare a tutto il resto, ed è esattamente quello che fa William, quando, qualche anno dopo – ormai un vero barbaro del surf (il titolo originale è Barbarian Days) – rincorre le onde attraverso mezzo Pacifico, dall’Australia al Madagascar passando per le Figi, Sumatra e Samoa. E le affronta carico di abbondanti dosi di LSD, con i prevedibili rischi e le intense visioni di assoluto che questo binomio – surf e psichedelia – sono in grado ispirare: “Lottai per farmi strada tra la schiuma, contento di avere qualcosa da fare. L’acqua al suo stadio molecolare sembrava meno interessante di prima. [...] Il colore era di un grigio-bianco tenue finché non si alzava un’onda, dopodiché sembrava che si accendessero dei riflettori turchese che illuminavano dall’interno le viscere dell’onda. [...] Sollevai lo sguardo e vidi in alto un soffitto argenteo e spumeggiante. Sembrava che stessi cavalcando un cuscino d’aria. Poi le luci si spensero”.

C’è un rapporto di causa ed effetto da trovare, tra il coming of age sull’acqua che occupa gran parte di questo libro, l’inevitabile ritorno a casa e la scelta di diventare uno scrittore specializzato nel descrivere la realtà nei suoi aspetti più oscuri? Forse è stata proprio l’abitudine ad andare incontro al pericolo (sotto forma di onde), a spingere Finnegan verso le zone del mondo più turbolente – osservare la guerra è un’attività che consuma il fisico e la mente, ma da cui è difficile staccarsi per tornare alla normalità, come racconta Michael Ware nel recente Only the Dead, documentario HBO sui suoi sette tormentosi anni da reporter in Iraq. Se il surf è una dipendenza, come candidamente ammette l’autore di questo libro, qualcosa deve avere a che fare con il tentativo di recuperare quell’intensissimo, irripetibile high iniziale.
O forse si tratta di altro. Forse il surf è soltanto un modo (più cool di altri) per provare sulla pelle il brivido della libertà. Ma Giorni selvaggi ci lascia con una piccola certezza: a volte, il modo migliore per capire il mondo è proprio quello di perdere tempo. Voto 4/5

Recensione di Mario Bonaldi

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Conosci l'autore

William Finnegan

1952, New York

Nato nel 1952 a New York, William Finnegan è cresciuto tra la periferia di Los Angeles e le Hawaii e ha conseguito una laurea alla University of California e un master in scrittura creativa alla University of Montana. Dal 1987 è cronista per il «New Yorker», oltre a collaborare con altre riviste, tra cui «Granta», «Harper’s», «The New York Review of Books». Ha compiuto reportage quasi in ogni continente, molti in Africa e in America Centrale, occupandosi soprattutto di politica estera, guerra, razzismo, povertà, crimine organizzato, globalizzazione. Ha pubblicato cinque libri e ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui due Overseas Press Club, ed è stato due volte finalista per il National Magazine Award....

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