La città dei ladri

consigliato!!

Tutti i libri sulla seconda guerra mondiale, scritti da qualunque latitudine, ci ricordano che "scoppiare", il verbo che ne segna l'inizio, dovrebbe restituire il senso netto del singolo istante in cui tutto muta. Non c'è transizione, non c'è preparazione. Una mattina si fa colazione con le uova, alla sera il valore delle cose è capovolto. Anche se di tenore completamente diverso, mi ha ricordato per certi versi quel capolavoro di Ballard "L'impero del sole". Solo che qui Benioff non rinuncia ad un'ironia (cinica?) che non solo non toglie nulla alla drammaticità del racconto, ma lo rende forse ancora più crudele. Impossibile non consigliarlo.

Coinvolgente, lo si divora. Primo pilastro è l’ironia: gag e personaggi ridicoli sono assenti, ma l’ironia è continua, un lievito nascosto quasi in ogni frase. Vengono in mente il Dickens del Circolo Pickwick ma anche Woody Allen e la tradizione ebraica, presso la quale l’ironia nasce forse come difesa, come consolazione dalla violenza della Storia. In effetti qui l’ironia è tanto più evidente perché emerge in un contesto tragico: la II guerra mondiale, le stragi naziste ma anche le persecuzioni delle autorità sovietiche, il durissimo assedio di Leningrado (letto nei giorni dell’assedio a Mariupol: per la serie "Historia magistra vitae"...), con la lotta quotidiana per la sopravvivenza e casi perfino di cannibalismo. Ed ecco il secondo pilastro dell’edificio: il pathos, quasi altrettanto costante, le scene e le situazioni drammatiche, la sensazione di fragilità di fronte alla minaccia incombente, quella del momento, sempre nuova, e la quasi certa punizione finale. Una sensazione di fragilità che aiuta l’identificazione nel protagonista, un “uomo senza qualità”, l’adolescente qualunque che siamo stati tutti. Terzo: i colpi di scena, risolutivi, imprevedibili eppure verosimili. Infine, la credibilità, la solidità dei personaggi, anche minori. Qui non esistono macchiette, figure scontate; esistono certo i cattivi, ma sono figure assai sfaccettate oppure balenano le motivazioni umane e storiche della loro spietatezza; e i buoni invece sono dei cialtroni pieni di difetti, dei picari simpaticissimi. Efficaci anche l’estrema varietà delle esperienze e degli ambienti rappresentati, e l’elemento del mistero, qui un fantomatico romanzo censurato di un fantomatico “maestro”; e poi l’elemento della missione da portare a termine, con l’attesa del trionfo o della catastrofe finali. Infine, il primo trucco dell’illusionista Benioff: quello della storia vera, autobiografica, che rende tutto più drammatico. Insomma, il prototipo di una narrazione di successo.