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Pro patria - Ascanio Celestini - ebook
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Descrizione


Il punto di partenza è la Repubblica Romana del 1849: un'avventura durata pochi mesi, capace di gettare i semi di quella che, cento anni dopo, sarebbe diventata la Costituzione italiana. Il protagonista è un detenuto dei giorni nostri. Nella solitudine della prigione, gli unici esseri umani con cui si rapporta sono un secondino detto «l'intoccabile» e un immigrato africano che dorme cinque minuti ogni ora. Ma il detenuto ha un piano: preparare un discorso usando i pochi libri che l'istituzione carceraria gli ha permesso di consultare. Le parole di Pisacane, Cattaneo, Mazzini e Mameli - credute innocue dai suoi carcerieri -, diverranno nelle sue mani il grimaldello col quale tentare di evadere, anche solo mentalmente. Perché quel Risorgimento era «storia di lotta armata e galera», e ci sono due tipi di terroristi: quelli che finiscono in prigione, e quelli che finiscono in Parlamento. «Quand'è che il furto di una mela diventa un reato? C'è un limite? C'entra con la qualità della mela? La statua della giustizia davanti al tribunale ha una bilancia in mano, ma entrambi i piatti sono vuoti. Non è una bilancia per pesare la frutta». Ascanio Celestini rilegge la storia dell'unità d'Italia in chiave anarchica e rivoluzionaria stando «in equilibrio sulla Storia come il gatto sul cornicione», e conduce il lettore in un viaggio vertiginoso dove i martiri e gli eroi non hanno neanche trent'anni, e pagano con la vita la capacità di sognare.
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Dettagli

Testo in italiano
Tutti i dispositivi (eccetto Kindle) Scopri di più
128 p.
Reflowable
9788858406670

Voce della critica

Il presupposto di partenza, per Celestini, è la nota tesi gramsciana della rivoluzione mancata, progetti e ideali disattesi, speranze dei figli tradite dai padri. Ma la riflessione sul Risorgimento da cui comincia il racconto è un continuo lanciare ponti su alcuni dei nodi più critici della storia del paese: dalla Resistenza agli anni di piombo, fino a toccare il presente. Intanto la prospettiva: a ripercorrere e raccontare i centocinquant'anni di unità è la voce di un detenuto, un "erbivoro", un ergastolano a cui (come altrove in Celestini) è stata diagnosticata una seminfermità mentale. Un io sconclusionato ma critico, che nella sospensione spazio temporale del carcere prova a tirare le fila di ciò che è stato, portando avanti un' analisi distaccata e dissacratoria. L'ossatura su cui si perdono le continue (ma spesso acute e puntuali) divagazioni narrative è un dialogo fallito con Giuseppe Mazzini, e la prova, insieme a lui, di un discorso agli italiani. Un discorso spesso interrotto dall'affiorare di personaggi ed episodi estranei al Risorgimento più moderato e accomodante, protagonisti che dal Mazzini "ufficiale" di vie e piazze italiane non possono essere raccontati. E non ci sono eroi, anzi: durante il cammino verso l'unificazione s'incontrano solo vittime di "un'inutile strage", ventenni o poco più morti ammazzati da una promessa non mantenuta. Pisacane, Orsini, Malatesta e i fratelli Bandiera: esponenti di un'attività rivoluzionaria cancellata (o smussata) dal revisionismo sabaudo, e che in Pro Patria provano a riemergere dalla loro damnatio memoriae di sconfitti. Continuamente incalzato dalla voce narrante, l'ideologo e cospiratore Mazzini diviene, con il suo silenzio sempre più pesante, simbolo di attendismo e inefficacia rivoluzionaria, freddo stratega sordo alle morti. Ma a fare i conti con il Risorgimento in chiave Celestini sono anche i rivoluzionari che hanno tradito la causa, Depetris, Crispi, Cairoli: padri della patria e di un trasformismo che avrà poi grande fortuna. Non si contano dentro il flusso narrativo le anticipazioni ottocentesche all'Italia che sarà: interessante è l'analogia tra la generazione risorgimentale e quella della contestazione, che si fa strada nel racconto e nella riflessione con un dissonante crescendo di prestiti lessicali. In fondo, i due movimenti sono entrambi espressione di una lotta armata, segnata da morti e sconfitte; una simile e radicale promessa di rinnovamento, che la memoria collettiva ha da sempre tenuto a distanza. "Siamo rivoluzionari, rivoluzionari sconfitti, ma pur sempre rivoluzionari", si legge in un passo del libro, e finito il furor giovanile per i rivoluzionari ci sono tre strade: la morte, il parlamento o la galera. E proprio quest'ultima, forse per l'urgenza del tema, si innesta e conduce parte del discorso. "Senza prigioni, senza processi": altre parole di Mazzini, altre parole disattese. La galera come cuore dello stato, insieme centro nevralgico e ultima periferia dei reietti reclusi in uno spazio disumanizzante. Il carcere è ed è stato incubatrice rivoluzionaria, quasi un privilegio per pochi, ma che nell'assottigliarsi della differenza tra dentro e fuori rischia di perdere la sua portata eversiva, facendosi inferno totale. Pro Patria va certo a inserirsi nei recenti dibattiti sull'affollamento delle carceri e su Italia 150, ma il tema fondante del libro è il sommerso, e la volontà civile (ed emotiva) di restituirgli, se non gloria patriottica, almeno memoria. Francesco Morgando

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Conosci l'autore

Ascanio Celestini

1972, Roma

È una delle voci più note del teatro di narrazione in Italia. La sua scrittura nasce sempre da un lavoro di indagine condotto attraverso interviste e laboratori. Del 2000 sono gli spettacoli Radio Clandestina, sull'eccidio delle Fosse Ardeatine, e Cecafumo, sulla fiaba. Del 2002 è Fabbrica. Del 2006 Appunti per una lotta di classe. Con Fandango ha girato i documentari Senza Paura, storie e musiche di lavoratori notturni, e Parole sante, che ha dato il titolo a un omonimo disco. Per Radio 3 ha scritto e interpretato diverse trasmissioni, tra cui "Bella Ciao" sul tema del lavoro e della Resistenza. Con Donzelli ha pubblicato Cecafumo, Fabbrica e la ripresa televisiva di Radio Clandestina. Tra le pubblicazioni Einaudi: Storie di uno scemo di guerra (L'Arcipelago Einaudi 2005...

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