Gli angeli muoiono delle nostre ferite

È un romanzo di formazione come ne ho letti tanti, e di migliori. L'inizio - un carcerato destinato alla forca - lasciava presagire altro perché nella mia testa - fresca di lettura del magnifico 'Il vagabondo delle stelle' di Jack London - aleggiava la speranza in qualcosa di comparabile. Niente del genere. Il flashback che ne ripercorre le tappe, non ha proprio nulla della geniale creatività del brillante London; è una storia di 'ordinaria' indigenza e tentativo di riscatto (alla Rocky Balboa) e Khadra, di cui avevo trovato di maggior impatto 'Morituri', rimane un buon narratore di fascia media. Anche se non mi ha aggiunto granché, si è fatto leggere, ecco, più che altro per il contesto algerino coloniale della prima metà del secolo scorso. Ovviamente è un racconto crudo, come crude erano le condizioni di vita miserrime degli arabi musulmani in quel contesto fortemente razzista e discriminatorio in cui Turambo, con grande forza d'animo, ce la mette proprio tutta per rimanere a galla e dare sostanza ai suoi sogni. Giudizio tiepido, il mio (tre stelle scarse), ma lo consiglio comunque a chi non ha grosse pretese letterarie e che in narrativa, quelle terre e quel periodo, non ha ancora visitato.

Forse a forza di usare uno pseudonimo femminile, l'autore ne ha assorbito anche la sensibilità. Il romanzo è stupendo. Condotto attraverso una prima-terza persona che, tramite l'ascesa sociale di un pezzente arabo, illustra questioni vecchie, ma tuttora irrisolte: l'influenza della debordante "cultura" europea, la disparità uomo donna, gli ammalianti malefici del denaro e del potere.