Stabat mater

Caspita, che fatica fare questa recensione... Certi immagini sono troppo impressionanti... : evidentemente il libro è scritto troppo bene. Un testo troppo breve... : breve ma che ti cattura e non ti molla. Ci sono tante contraddizioni, che non starò qui ad elencare, perchè...: è un libro tanto particolare. Una cosa è certa: Tiziano Scarpa mi hai fatto riscoprire Vivaldi e adesso lo ascolto, lo ascolto e lo riascolto e... più lo ascolto e più mi piace... Grazie...

Cecilia che scrivendo alla madre sconosciuta riesce a comunicare le sensazioni, i sentimenti, le attività musicali alle quali è dedicata va avanti nella sua vita che, da quando ricorda, è sempre stata all' interno dell' Ospedale della Pietà. Solo con l'arrivo di Antonio Vivaldi riuscirà a trovare la forza di tirar fuori il suo carattere e la sua strada che la porterà lontano da lì, dove ha sempre vissuto. L' idea del romanzo orientato verso la poesia resta nel contenuto un po' inconsistente però è stato Premio Strega 2009.

Il freddo umido penetrante di un orfanotrofio, i colori grigi degli ambienti perennemente in silenziosa penombra e gli echi cupi dei loro vuoti. Persino la musica è grigia, fredda e vuota. Almeno fino all'arrivo di don Antonio Vivaldi. «Mi chiedo che cosa è meglio, se sapere o no che esiste un'altra maniera di stare al mondo, quando ormai loro non possono più viverla. Abbiamo rovinato la loro pace. Quei due vecchi erano riusciti ad attraversare la vita indenni dalla promessa che fa la musica, moriranno più tristi di quello che erano prima di ascoltarci.» Chi narra è una ragazzina che cerca, ad occhi chiusi, di intuire la vita e il mondo attraverso una grata, ma in realtà è l'uomo Scarpa. È bravo a farla parlare con la madre che non ha mai avuto, con la musica, la vecchiaia, con la malattia e persino con la morte in persona, senza concedere mai, una sola riga, al patetismo da piccola fiammiferaia. Bravo. Lettura suggestiva ed evocativa; scrittura intensa e stile efficace. «Ma a volte mi chiedo se non vivrei meglio conoscendo meno parole. Qui dentro non posso viverle fino in fondo. Conduco una vita astratta. Le parole mi girano intorno alla testa come mosche. Ronzano, non riesco ad acchiapparle, e quando le prendo sono morte, non so che tipo di vita conducevano sulla bocca degli altri, che cosa vogliono dire esattamente.»