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Ex captivitate salus - Carl Schmitt - copertina
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Ex captivitate salus
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Ex captivitate salus - Carl Schmitt - copertina

Descrizione


«Nelle desolate vastità di un’angusta cella», fra il 1945 e il 1947, Carl Schmitt si trovò a scrivere questo libro, il suo più intimo e personale, dura resa dei conti con se stesso e con l’epoca. Il più controverso, ma anche uno fra i più grandi giuristi del nostro tempo, guarda indietro ai suoi anni e ai secoli in cui è fiorita e sfiorita la dottrina a cui per tutta la vita si era dedicato: lo ius publicum Europaeum. Ma, per parlare di se stesso, Schmitt parla di altri, di certe figure che hanno accompagnato, più o meno segretamente, tutta la sua vita, qui evocate in pochi tratti che toccano subito l’essenziale: Tocqueville, ma anche Stirner; Kleist, ma anche Däubler; Bodin, ma anche Hobbes. Figure tra cui si formano contrasti laceranti, quelli appunto in mezzo a cui Schmitt ha operato e ha pensato. «Ho conosciuto le escavazioni del destino, / vittorie e sconfitte, rivoluzioni e restaurazioni, / inflazioni e deflazioni, bombardamenti, / diffamazioni, mutamenti di regime ... / fame e freddo, campo di concentramento e cella d’isolamento». E in quella ultima solitudine si elabora la «sapienza della cella» che parla in queste pagine pubblicate in Germania nel 1950 e mai più ristampate, per volontà dell’autore, il quale per altro considerava Ex Captivitate Salus un «libro chiave».

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Dettagli

3
1987
29 luglio 1993
110 p., Brossura
9788845902352

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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vitaliano bacchi
Recensioni: 2/5

Avrebbe dovuto essere il suo redde rationem, il suo diario mistico ad esito di una esperienza politica e di scienza giuridica di cui doversi vergognare ed espiarne anche in senso giudiziario la responsabilità; invece il libello finale palesa il limite ed il vizio capitale della ideologia tedesca del diritto vale a dire la sua fonte mitologica fabulatoria e fiabesca. Il titolo stesso del libro enuncia il brocardo romanistico, di origine scettico epicureica, la regula experienda induttiva di una salus vitae connessa alla sola esclusione dell'esperienza sociale pericolosa e che, nella desolazione del carcere, l'autore esperisce e capisce, simulando la sua ultima e più tragica imitatio iudaeorum che lo angoscerà tutta la vita e che ritenne di poter razionalizzare con la redazione della legislazione sulla judenrasse. Tutta la vita a confrontarsi con un gigante giudaico della philosophia iuris, Hans Kelsen, che lo angustierà come un paragone impossibile e che, se al tempo delle leggi di Norimberga cercò di liquidare con una teoria del diritto pubblico risibile rispetto la rechtreine di Kelsen, nei giorni della prigionia e della vergogna non riuscirà nemmeno allora ad eludere e con il libello in esame finirà per subire e recuperare non più in senso giuridico, perchè ormai qui il suo contributo era comico, ma in senso letterario con l'ennesima imitatio judaica: Ex captivitate salus non combatte più l'impossibile avversario razionalista del Wienerkreis, ma ritenta l'ennesima rivincita emulativa con riguardo alla teshuvah (conversione di salvezza) di Singer e della letteratura Jddish. Schmitt è un giurista tedesco cioè fiabesco, una ideologia giuridica satura di miti ariani nibelungici; niente del rigore aritmetizzante e razionalista del maestro Kelsen; qualche pezzatura di un autore, Heidegger, che non aveva i mezzi capire e nemmeno per chiosare ma che infine gli servì per qualificare in ambitu rationis et iuris un'opera che non ha avuto autentico valore giuridico.

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Luca Ormelli
Recensioni: 5/5

Ex Captivitate Salus "sentenzia" Carl Schmitt. Parafrasando JPS fu Egli Santo ovvero Martire? Ma atteso che "i santi non scrivono autobiografie" (pag.90) non meno che "la justice est une espèce de martyre" (citazione di Bossuet, vescovo e teologo ricordato da Schmitt nella sua ultima intervista di 94enne - ivi pag.131) tale quesito è destinato a rimanere inevaso. Senza dubbio è però l'importanza, la crucialità del libello in oggetto, che lo stesso giurista non dissimulò di ritenere "chiave" per l'accesso al sentiero tortuoso ma pregno di "mistero" del suo pensiero nella misura in cui "ogni situazione ha il suo segreto, e ogni scienza reca in sé il suo arcanum. Io sono l'ultimo, consapevole rappresentante dello ius publicum Europaeum, l'ultimo ad averlo insegnato e indagato in un senso esistenziale e ne vivo la fine [...]. Qui è bene ed è tempo di tacere." (pag.78). Illuminante come può esserlo il venire alla luce dalle oscurità, "dalle desolate vastità di un'angusta cella" è il saggio accluso del giurista Francesco Mercadante il quale, si direbbe sapientemente, riordina e inquadra storicamente queste pagine eclettiche per vocazione e temperamento, che l'autore stesso perorava esiziali "per comprendere ciò che è successo in Europa e in Germania nell'ultimo secolo" (pag.109). Carl Schmitt, chiamato a deporre in quella Norimberga dello spirito europeo ove però sono i vinti a scrivere la storia, "testimone" del nostro Novecento. O forse il "maggior criminale dal punto di vista morale" (come riporta Kempner, ex vicecapo della Allied War Crime Commission comandato all'interrogatorio del detentuo imputato per crimini di guerra)? Il "più cattivo degli uomini viventi" (secondo H.J.Morgenthau)? O un novello Tommaso Moro che, ritiratosi nella "sicurezza del silenzio" di un monastero domenicano dopo la scarcerazione ha fatto della propria esistenza un monito imperituro, quasi una scogliera di marmo, alla "inalienabile libertà dello spirito" (pag.18) in barba ad ogni Leviatano?

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lucas
Recensioni: 4/5

Nella quarta di copertina è detto che l'Autore considerava questo un suo libro chiave e in effetti, raro caso di auto-interpretazione corretta, ci sono molti passi che aiutano a capire il suo pensiero, in particolare il rilievo, che scopriamo essere relativo e condizionato, del concetto di Stato. Anche l'opposizione, fin troppo celebre, amico-nemico è rivisitata, ma in un modo "esistenzialistico" che quasi imbarazza il lettore serio e tutto d'un pezzo di Schmitt. Alcuni capitoli sono un pò difficili da inquadrare; in parte perchè la materia è varia, in parte perchè riferentisi ad aspetti poco noti della sua opera e della sua vita. Schmitt fu infatti un cattolico particolare, mistico ed "esoterico" (qui il termine vale più che altro come misterioso oppure teso a cogliere aspetti segreti e inaccessibili della storia) e naturalmente Adelphi insiste con la pubblicazione degli scritti schmittiani che più suggeriscono questo filone. Va però detto che il tutto sfocia in una filosofia della storia cristiana cattolica, da opporre ad un preteso storicismo giudaizzante. Mi sembrava giusto far notare questo, soprattutto perchè oggi Schmitt è ripreso un pò da tutta quella gente poco dotta e laica, che si interessa al nostro Autore solo per trarre buoni argomenti guerrafondai: per esempio dicendo che qualcuno è politicamente nostro nemico e in quanto tale ci può scappare una guerra. Invece il giurista di Plettemberg ha detto cose assai più complesse giungendo a prefigurare una globalizzazione ed una sua critica in termini radicali, poco importando qui se e come operasse in questa teoria il suo anti-giudaismo.

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Carl Schmitt

1888, Plettenberg

Schmitt, Carl fu un giurista e pensatore politico tedesco. Docente di diritto presso le università di Bonn, Berlino e Colonia, con l'avvento del nazismo, Schmitt elaborò le linee guida e i principi giuridici di base del nuovo regime. Arrestato nel 1945, fu processato e poi assolto, ma dovette lasciare l'insegnamento. Tra le opere principali si ricordano: La dittatura (1921), Teologia politica (1922), Il concetto del politico (1927), Dottrina della costituzione (1928), Legalità e legittimità (1932).

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