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Fabula mistica. XVI-XVII secolo. Vol. 2 - Michel de Certeau - copertina
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Fabula mistica. XVI-XVII secolo

Descrizione


A trent'anni dalla scomparsa di Michel de Certeau, "Fabula mistica II" - che raccoglie testi inediti o parzialmente pubblicati - dispiega tutta la sua potenza teorica di fronte all'impazienza dell'assoluto che caratterizza le scritture mistiche. Parole in cui si declina un'identità ferita, epoche smarrite, passaggi di senso e nuove configurazioni testuali: lo sguardo dello storico si lascia interrogare dalla selva di opere disseminate lungo un arco temporale che ha segnato la nascita della modernità e prova a individuarne i punti di viraggio, l'ambiguo oscillare tra ortodossia e trasgressione, l'equivoco che grava sui significati quando pretendono di imporre un senso unico o definitivo. Attraverso le analisi di Certeau le scritture mistiche, solo apparentemente ai margini di società in cerca di stabilità, mostrano la loro carica eversiva e - insieme - fondatrice di nuovi assetti del pensiero: da Nicola Cusano a Giovanni della Croce, da Surin a Pascal e fino alle glossolalie studiate da Saussure, la singolarità dell'esperienza mistica - «intuizione dell'assoluto in maniera singolare» - esplode nella storia come un impossibile che cerca di tradursi e impone al lavoro dello storico di riconfigurare continuamente gli strumenti delle sue indagini.
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Dettagli

2016
1 dicembre 2016
XXXVII-309 p., Brossura
9788816413801

Voce della critica

Michel de Certeau, un incessante corpo a corpo tra fabula e parola

Michel de Certeau, un incessante corpo a corpo tra fabula e parola

La fabula è un percorso e, al contempo, un percorrere. Qualcosa che, per usare le parole che Michel de Certeau spende per la mistica, «designa un’operazione da fare sui termini che investe». Fabula mistica, dunque: qualcosa che, a partire dal Medioevo, si condensa in un termine che, stratificandosi poco per volta, prende a designare una «nuova maniera di parlare», una forma del dire e, al contempo, una forma del fare. Un dire che è un perdersi e un fare che è un fare puro, quasi disarticolato dalle esigenze dell’opera.

Fabula. Ma una fabula mistica. Mistica, spiega ancora de Certeau, è dapprima un aggettivo, ma poco per volta si sostantivizza. Finisce per precisare sia «un modo di utilizzare, sia di intendere le espressioni che sovradetermina». Designa modi di fare o modi di dire, ma in ogni caso maniere di praticare la lingua. Poco per volta, divenendo complesse e esplicite, «queste pratiche aggettivanti sono raccolte in un loro proprio campo che si riscontra, verso la fine del XVI secolo, con la comparsa del sostantivo: “la mistica”». Questa denominazione – la mistica –, osserva ancora Michel de Certeau, contrassegna la volontà di rendere sotto un comune tetto, di «unificare tutte le operazioni fino ad allora disseminate».

Operazioni che vengono, così, raccolte, selezionate, coordinate secondo una domanda che è anche criterio ordinativo: che cosa è, davvero, concretamente mistico? Queste operazioni vengono poi regolate e formano una vera e propria «maniera di parlare», modus loquendi che lambisce il parlare angelico e la poetica dell’impossibile, la glossolalia (capitoli fra i più affascinanti di Fabula mistica II, sulla glossolalia segnaliamo anche gli importanti dialoghi di de Certeau con Paolo Fabbri e William J. Samarin, raccolti per la cura di Lucia Amara in Utopie vocali, Mimesis 2015).

Ai margini e nelle crepe del nostro mondo sicuro di tutto tranne che della propria rovina, l’eco di ciò che non vuole farsi storia, di ciò che non è riconducibile a niente, men che meno riducibile a simbolo, riappare. Il mistico senza fabula perturba ancora, nella forza muta di chi, oggi, perturba i nostri confini. Tutti i confini. Come l’erba che buca l’asfalto ai margini delle strade, ciò che torna del mistico è un sapere del corpo. Ars loquendi diventata carne. Per questo, la grande lezione di Michel de Certeau è forse ancora iscritta, meglio che altrove, in quel passaggio che dedica a Jean de Labadie: «bisogna riattraversare la mistica, non più del linguaggio che essa inventa, ma del “corpo” che vi parla: corpo sociale (o politico), corpo vissuto (erotico e/o patologico), corpo di scrittura (come tatuaggio biblico), corpo narrativo (corpo di passioni), corpo poetico (“corpo glorioso”). Invenzioni di corpo per l’Altro». Corpo a corpo, incessante, tra fabula e parola.

Recensione di Marco Dotti.

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