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Recensioni Il figlio dello sconosciuto

Il figlio dello sconosciuto di Alan Hollinghurst
Recensioni: 4/5
Tutto ha inizio nel 1913 nel giardino di una casa nella campagna inglese, quando il timido George Sawle torna da Cambridge insieme a un compagno di studi: l'aristocratico, magnetico, capriccioso poeta Cecil Valance. Si fermano solo tre giorni alla tenuta "Due Acri", ma quel poco tempo è destinato a cambiare la loro vita. E più ancora quella di Daphne, la sorella sedicenne di George. Sul quaderno degli autografi di lei, infatti, Cecil scrive un poema che diventerà, dopo la sua morte al fronte, il simbolo di una generazione. Ma quei primi giorni in cui la Storia sta per fare il suo tragico ingresso sono anche attraversati da malintesi e segreti, che intrecciano i destini della famiglia Sawle con quella dei Valance. Così, mentre George si sentirà ingannato nel suo amore proibito per Cecil, Daphne crederà che quei versi siano stati dedicati a lei e indosserà i panni della vedova del poeta. Sposerà il fratello di Cecil, ma quel suo primo, idealizzato amore la trascinerà da un matrimonio infelice all'altro. A vegliare sulle loro vite c'è comunque l'incombente e gelida presenza della statua bianchissima di Cecil. Fino a quando, settant'anni dopo, due giovani studiosi, coinvolti loro stessi nelle vicende biografiche del poeta, non faranno luce sulla verità di quei pomeriggi ai "Due Acri". Alan Hollinghurst è considerato uno dei più importanti scrittori inglesi, e questo romanzo porta in ogni pagina la traccia della sua ironia, della sua scrittura elegante, disseminata di impercettibili, all'apparenza casuali, tocchi di puro talento. Il figlio dello sconosciuto racconta la storia di un paese emblematico come l'Inghilterra, i suoi pregiudizi ma anche la sua capacità di cambiare, e il potere straordinario che ha la letteratura di creare i miti di una nazione. Hollinghurst racconta la storia di uomini e donne imprigionati nella vita sbagliata: quello che il poema di Cecil suggerisce è che al mondo c'è sempre più ipocrisia che innocenza. Tuttavia, dice Hollinghurst, se siamo costretti alla finzione, che ognuno di noi possa almeno scriverla di proprio pugno. )
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