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Se, nel dibattito politico, si fa ancora oggi un proditorio uso e abuso del termine "comunismo", non manca chi, dal lato opposto, rievoca o riesuma, con pervicace insistenza, il termine "liberalismo": quanto più scomparso come sostantivo, tanto più il liberalismo viene qua e là invocato nella sua forma aggettivata, fino al vagheggiamento di un "partito liberale di massa" che in Italia non è esistito nemmeno nell'età d'oro dei seguaci di Benjamin Constant, J. Stuart Mill o Benedetto Croce. Certamente in Italia ci sono stati dei liberali, e c'è stato un Partito liberale italiano la cui storia merita senz'altro rispetto. Bene fa dunque a occuparsene attivamente il Progetto di ricerca di interesse nazionale, l'istituzione nata a seguito di un convegno di studio tenutosi presso l'Università di Siena nel 2004 e che a sua volta ha promosso analoghe occasioni: nell'ottobre 2006, ancora a Siena, realizzava un secondo incontro, dedicato a I liberali italiani dall'antifascismo alla Repubblica, i cui materiali ci sono ora offerti in una ponderosa antologia: una trentina di interventi e saggi, per oltre ottocento pagine. Il volume sarà seguito, si spera tra breve, da un secondo, con le risultanze di due analoghi convegni svoltisi a Padova e a Napoli nel 2007.
La documentazione che ci viene offerta dall'antologia è condita con il sale di un'orgogliosa apologetica, e punta scopertamente a ravvivare l'interesse per una vicenda politica, per una cultura, per figure non banali, anche se non più capaci di ripetere quell'immediato dopoguerra, quando Benedetto Croce o Luigi Einaudi giocarono un ruolo di altissimo profilo, anche istituzionale. Ci fu allora chi si illuse che l'Italia potesse finalmente avere la sua bella età del liberalismo dispiegato e trionfante. Non fu così, e nell'antologia non manca chi riconosce che quel tanto di liberalismo che si ebbe in quel momento sia pure non in forma di sostantivo, ma di aggettivo venne promosso dal cattolico De Gasperi. Fu De Gasperi a volere Einaudi alla presidenza della Repubblica. E la scelta fu felice. Ma anche irripetibile e irripetuta. Tra compromesso storico e dilagante partitocrazia, anche quel liberalismo cattolico ebbe breve vita, assieme a ogni "terza forza" che tentasse di opporsi al montante compromesso storico.
Il volume ci documenta, momento dopo momento, sulla presenza del Pli dall'antifascismo e dalla Resistenza in poi, fino a circa il 1953, con indagini sulla composizione della sua classe politica, la sua cultura militante, le sue iniziative e il suo rapporto con le istituzioni. Segue una serie di medaglioni relativi a personalità eminenti del movimento, da Giovanni Amendola ad Alberto Bergamini, Novello Papafava, Mario Pannunzio, Eugenio Artom, Gaetano Martino, Giovanni Malagodi (molti altri nomi si potrebbero onorevolmente aggiungere), e inchieste sui rapporti tra liberali, socialisti e monarchici. Non manca neanche l'attenzione per figure provenienti da altri filoni ed esperienze: in questo volume compare Guido Calogero, nel secondo si parlerà del "radicale" Francesco Saverio Nitti, del Partito d'Azione o dei demolaburisti (manca, invece, qualche eretico come Panfilo Gentile). Ma abbiamo la sensazione che il termine ad quem il 1953 sia stato scelto per evitare di dover fare i conti con un evento non secondario, vale a dire la nascita, da una costola del Pli, del Partito radicale. Di Mario Pannunzio si mette in giusto risalto l'opera, non solo giornalistica; il suo percorso politico viene però fatto concludere con il convegno del 1951, che vide i dissidenti della "sinistra liberale", di cui Pannunzio faceva parte, rientrare nel Pli. Ma solo quattro anni dopo Pannunzio promuoveva la nascita del Partito radicale, concepito da lui e da quanti collaborarono al progetto (Ernesto Rossi o Nicolò Carandini o Mario Ferrara) come l'approdo obbligato dell'esperienza liberale giudicata, non solo da loro, come già conclusa in epoca prefascista.
Una riflessione, sul piano meramente storiografico, l'avrebbe meritata anche l'ulteriore evoluzione o inveramento storico? nel radicalismo di Marco Pannella, capace, con il suo aggiuntivo libertarismo, di condurre grandi battaglie maggioritarie e vincenti. È diffusa opinione che esso sia estraneo o comunque diverso rispetto alla tradizione del Pli o alla cultura di Pannunzio, Carandini o Paggi. È un'opinione comunque da discutere, visto che Pannella e i suoi rivendicano quanto meno la continuità giuridica con il partito fondato nel 1955. Il Partito radicale di oggi è del resto schierato nella difesa e promozione delle istituzioni, come dell'economia e della civiltà liberale, richiamandosi proprio a Croce o a Einaudi. Invece dell'ostracismo, non sarebbe meglio il riconoscimento che l'innesto libertario e della nonviolenza ha forse aperto una nuova prospettiva al liberalismo classico?
Angiolo Bandinelli
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