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I liberali italiani dall'antifascismo alla repubblica
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2008
30 novembre 2008
9788849819205

Voce della critica

Se, nel dibattito politico, si fa ancora oggi un proditorio uso e abuso del termine "comunismo", non manca chi, dal lato opposto, rievoca o riesuma, con pervicace insistenza, il termine "liberalismo": quanto più scomparso come sostantivo, tanto più il liberalismo viene qua e là invocato nella sua forma aggettivata, fino al vagheggiamento di un "partito liberale di massa" che in Italia non è esistito nemmeno nell'età d'oro dei seguaci di Benjamin Constant, J. Stuart Mill o Benedetto Croce. Certamente in Italia ci sono stati dei liberali, e c'è stato un Partito liberale italiano la cui storia merita senz'altro rispetto. Bene fa dunque a occuparsene attivamente il Progetto di ricerca di interesse nazionale, l'istituzione nata a seguito di un convegno di studio tenutosi presso l'Università di Siena nel 2004 e che a sua volta ha promosso analoghe occasioni: nell'ottobre 2006, ancora a Siena, realizzava un secondo incontro, dedicato a I liberali italiani dall'antifascismo alla Repubblica, i cui materiali ci sono ora offerti in una ponderosa antologia: una trentina di interventi e saggi, per oltre ottocento pagine. Il volume sarà seguito, si spera tra breve, da un secondo, con le risultanze di due analoghi convegni svoltisi a Padova e a Napoli nel 2007.
La documentazione che ci viene offerta dall'antologia è condita con il sale di un'orgogliosa apologetica, e punta scopertamente a ravvivare l'interesse per una vicenda politica, per una cultura, per figure non banali, anche se non più capaci di ripetere quell'immediato dopoguerra, quando Benedetto Croce o Luigi Einaudi giocarono un ruolo di altissimo profilo, anche istituzionale. Ci fu allora chi si illuse che l'Italia potesse finalmente avere la sua bella età del liberalismo dispiegato e trionfante. Non fu così, e nell'antologia non manca chi riconosce che quel tanto di liberalismo che si ebbe in quel momento – sia pure non in forma di sostantivo, ma di aggettivo – venne promosso dal cattolico De Gasperi. Fu De Gasperi a volere Einaudi alla presidenza della Repubblica. E la scelta fu felice. Ma anche irripetibile e irripetuta. Tra compromesso storico e dilagante partitocrazia, anche quel liberalismo cattolico ebbe breve vita, assieme a ogni "terza forza" che tentasse di opporsi al montante compromesso storico.
Il volume ci documenta, momento dopo momento, sulla presenza del Pli dall'antifascismo e dalla Resistenza in poi, fino a circa il 1953, con indagini sulla composizione della sua classe politica, la sua cultura militante, le sue iniziative e il suo rapporto con le istituzioni. Segue una serie di medaglioni relativi a personalità eminenti del movimento, da Giovanni Amendola ad Alberto Bergamini, Novello Papafava, Mario Pannunzio, Eugenio Artom, Gaetano Martino, Giovanni Malagodi (molti altri nomi si potrebbero onorevolmente aggiungere), e inchieste sui rapporti tra liberali, socialisti e monarchici. Non manca neanche l'attenzione per figure provenienti da altri filoni ed esperienze: in questo volume compare Guido Calogero, nel secondo si parlerà del "radicale" Francesco Saverio Nitti, del Partito d'Azione o dei demolaburisti (manca, invece, qualche eretico come Panfilo Gentile). Ma abbiamo la sensazione che il termine ad quem – il 1953 – sia stato scelto per evitare di dover fare i conti con un evento non secondario, vale a dire la nascita, da una costola del Pli, del Partito radicale. Di Mario Pannunzio si mette in giusto risalto l'opera, non solo giornalistica; il suo percorso politico viene però fatto concludere con il convegno del 1951, che vide i dissidenti della "sinistra liberale", di cui Pannunzio faceva parte, rientrare nel Pli. Ma solo quattro anni dopo Pannunzio promuoveva la nascita del Partito radicale, concepito da lui e da quanti collaborarono al progetto (Ernesto Rossi o Nicolò Carandini o Mario Ferrara) come l'approdo obbligato dell'esperienza liberale giudicata, non solo da loro, come già conclusa in epoca prefascista.
Una riflessione, sul piano meramente storiografico, l'avrebbe meritata anche l'ulteriore evoluzione – o inveramento storico? – nel radicalismo di Marco Pannella, capace, con il suo aggiuntivo libertarismo, di condurre grandi battaglie maggioritarie e vincenti. È diffusa opinione che esso sia estraneo o comunque diverso rispetto alla tradizione del Pli o alla cultura di Pannunzio, Carandini o Paggi. È un'opinione comunque da discutere, visto che Pannella e i suoi rivendicano quanto meno la continuità giuridica con il partito fondato nel 1955. Il Partito radicale di oggi è del resto schierato nella difesa e promozione delle istituzioni, come dell'economia e della civiltà liberale, richiamandosi proprio a Croce o a Einaudi. Invece dell'ostracismo, non sarebbe meglio il riconoscimento che l'innesto libertario e della nonviolenza ha forse aperto una nuova prospettiva al liberalismo classico?
Angiolo Bandinelli

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