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Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale - Gianfranco Folena - copertina
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Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale - Gianfranco Folena - copertina
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1991
25 novembre 1991
XVIII-294 p., ill.
9788833905945

Voce della critica


recensione di Beccaria, G.L., L'Indice 1992, n. 3

Il nuovo splendido libro di Folena, per ricchezza di temi autori e fenomeni trattati, si presenta come un eccezionale lavoro di geografia culturale, nei suoi aspetti sociolinguistici ed espressivi. Sono stati raccolti saggi sparsi, ma per svolgere una tematica unitaria. Dopo succinto intervento d'apertura sulla espansione e la crisi dell'italiano quattrocentesco, si ripropone un antico e agli addetti ben noto studio dedicato indirettamente alla cerchia del Pulci e di Lorenzo de' Medici, intensamente permeata del gusto per i vocaboli curiosi, strani, caratteristici, la parodia dei dialetti e il motteggio: mi riferisco alle pagine di molta erudizione e rilevanza nella storia del plurilinguismo quattrocentesco che Folena dedica a una curiosa figura di viaggiatore e memorialista, quel Benedetto Dei raccoglitore di vocaboli milanesi e autore di sonetti milanesi, eco letterariamente scolorita delle parodie dialettali di Luigi Pulci, ma con un accentuato interesse documentario che al Pulci mancava. È il preludio su un personaggio eccentrico rispetto alla centralità toscana, l'ouverture su una prima extravaganza, poiché il tema centrale di queste pagine è proprio il caos magmatico dei linguaggi diversi, il plurilinguismo nell'età del nostro Rinascimento. Il titolo del libro riprende alla lettera quello di un importante capitolo dedicato all'esperimentazione del Folengo quando nel "Caos del Triperuno" si cimenta nel compito arduo di ridurre ad una sola, personale trinità espressiva la sua privata questione della lingua, i suoi tre linguaggi, vale a dire lo scolastico, il registro "cortigiano", eclettico, plurilinguistico, e il registro parodico e maccheronico. L'opera è tra le meno note, di non facile lettura, "uno dei più imbrogliati guazzabugli della nostra letteratura, il mostro o ircocervo meno classicistico che si possa incontrare negli anni in cui si affermava a quote più elevate un aristocratico classicismo".
Com'è noto, ha molto vigore, proprio negli anni del Bembo e la sua regolata normativa, accanto al filone classico e monolinguistico dell'ordine e dell'armonia, di larga accettazione nel nostro Rinascimento, il filone edonistico-plurilinguistico del disordine anticlassico. È appunto questo secondo il filone privilegiato dal Folena, che ha sempre saputo svelare con grande maestria la retorica dei testi che poggiano sui registri dell'oralità, della conversazione espressiva, sui modi dell'invenzione estemporanea che fanno riferimento a un'esperienza davvero vissuta. Basti per tutti il rimando ai celebri studi di Folena sul contrappunto espressivo e il concertato tra piani e registri diversi nelle commedie del Goldoni. Consustanziali a questi interessi più strettamente letterari anche gli altri (che questo suo nuovo libro testimonia) per i diversi linguaggi delle culture materiali, la tecnologia, le scienze naturali, le scoperte d'oltre oceano (in un ampio saggio sono tracciate le prime immagini dell'America nel lessico italiano, la storia di "canoa" e di "cannibale"), e infine le terminologie artistiche: nel libro ripercorriamo le vicende storiche della parola 'chiaroscuro' e di molta terminologia pittorica rinascimentale, la storia di 'quadro' (spagnolismo) e di 'paesaggio'. Altre splendide monografie ritrovo su parole la cui storia è stata segnata dal vivo e vario parlare realistico, popolare, dal libero gioco della parodia, del motteggio, dal burlesco e caricatutale. A Folena piace tracciare la storia delle formazioni fantasiose e delle deformazioni affettive, espressive, i momenti e i testi dove c'è forte rigoglio di correnti realistiche e dialettali, le parole mobili e irrequiete cariche di affettività allusiva e di evocazione: mi riferisco alle pagine dedicate a una parola evocata da un ambiente sociale infimo e malavitoso, una parola eccentrica, vitalissima e mobile come 'monello', il fratello italiano del 'picaro' spagnolo, di cui Folena traccia sottilmente la fenomenologia attraverso le fasi della sua evoluzione semantica.
Dicevo che è l'aspetto esistenziale, concreto, materiale, ad avere da sempre attirato le ricerche di Folena. Il suo libro parla di linguaggi bassi, mescidati, espressivi, popolareschi e colti, ben rappresentati soprattutto negli epistolari e nel teatro. A Folena è molto congeniale la foresta di parole, la metafora e la policromia o polifonia di voci e di immagini, l'invenzione e la deformazione culta ma innestata sull'immenso materiale vivo e popolare di varia estrazione dialettale, gergale. Ci guida in questa selva o labirinto con la curiosità vorace e la sicurezza del maestro. Largo spazio ha nel libro il genere epistolare, che nel caso qui scelto rientra pienamente nel tema dell'espressivismo e del plurilinguismo: l'autore è Paolo Giovio, uno degli scrittori più sperimentali e inventivi del Cinquecento. Nelle sue lettere la descrizione (si vedano le rappresentazioni di guerra, battaglie navali e terrestri), la caricatura, la deformazione comica satirica o grottesca, si manifestano in una sintassi effervescente e in un lessico pittoresco e scapigliato, che oscilla tra citazioni latine ed espressioni furbesche, con forte intenzione espressionistica e ammiccante di vocaboli colti dalla realtà della conversazione o da dialetti, gerghi, lingue straniere, settori tecnici. L'area più intensamente studiata in questo volume è quella veneta, e non a caso, perché soprattutto nell'ambito del teatro, è stata l'area del più intenso contrasto, nei testi, tra registri alti e bassi, tra colto e incolto, un luogo di urti parodici di straordinario interesse, dove si è molto giocato sul contrasto anche tra dialetti diversi, e tra il "nostrano" e l'esotico, tra personaggi che parlano lingue regionali o dialetti d'Italia e personaggi stranieri che parlano la loro lingua (spagnolo, tedesco, francese e altro ancora). Il plurilinguismo veneto nasce (in un'area tra l'altro di precoce penetrazione dei modelli toscani) dallo scontro di tradizioni vigorose e molteplici, dalle forti differenziazioni dialettali tra metropoli lagunare e terraferma, tra bassa e alta terraferma. Si scontrano colto e rustico, città e campagna, ed emergono così molte stilizzazioni folcloriche (il bergamasco ad esempio, nel teatro), e hanno largo spazio ed udienza le reazioni comiche con lingue di cultura, soprattutto il latino, e le sue deformazioni maccheroniche e pedantesche. Il punto di riferimento è naturalmente Venezia, città cosmopolita, crogiuolo linguistico, punto d'incontro fra Oriente mediterraneo e Mitteleuropa, e lingue 'de là da mar', dalmatino e schiavonesco, grechesco e turchesco e zingaresco, una babele cosmopolitica. Ricchissimo il capitolo centrale del libro, "Le lingue della commedia e la commedia delle lingue", dedicato al momento in cui i dialetti salgono sulla scena in contrasto o chiaroscuro con la lingua: accanto alla pirotecnia verbale di un Aretino, e di un Andrea Calmo linguaiolo, tesaurizzatore di vocaboli e tropi veneziani, e di pavano parlato dai contadini, e bergamasco, grechesco, italo-raguseo, italo-tedesco, Folena rileva con la luce che le spetta la perfetta geometria della "Venexiana", sottile e complessa, mossa tra i diversi piani dell'italiano itinerario, lingua fredda di straniero, del veneziano caldissimo diversamente modulato nelle voci femminili delle due gentildonne, "la lingua ribollente di erotismo di Angela, quella più ritenuta di Valeria, e con le voci perfettamente intonate delle due serve, il basso continuo dell'intermediario Bergamasco". Poi viene il vertice, Ruzante, uno degli autori più amati da Folena, e più studiati in questo libro, l'anticlassico per eccellenza, l'esatto rovescio dell'Arcadia, lo scrittore per il quale "in principio fu non l'età dell'oro, ma quella del fango e della paglia".

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Gianfranco Folena

(Savigliano, Cuneo, 1920 - Padova 1992) linguista, filologo e critico italiano. Fu professore di storia della lingua italiana e condirettore della rivista «Lingua nostra». Fra le sue opere: La crisi linguistica del Quattrocento e l’«Arcadia» di J. Sannazzaro (1952), Testi non toscani del Trecento (1952, in collaborazione con B. Migliorini), Cultura e poesia dei siciliani (in Storia della letteratura italiana diretta da E. Cecchi e N. Sapegno, I, 1965), L’italiano in Europa: esperienze linguistiche nel Settecento (1983, premio Viareggio), Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale (1991); Volgarizzare e tradurre (1991).

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