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Anno edizione: 2015
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Quando, nel '97, lo avevo acquistato attratto dalla fascetta che ne pubblicizzava la vincita del premio Pulitzer, lo lessi a fatica e non mi fece grande impressione. Poi, lo scorso autunno, sistemando la libreria, l'ho ripreso in mano con curiosità ed ho iniziato a rileggerlo: piano piano mi ha avviluppato con la sua trama intrigante, con una scrittura che a tratti mi ricordava Philip Roth, altre volte Saul Bellow, con la simpatia del personaggio di Frank Bascombe e di tutti i suoi guai...per cui oggi mi ritrovo con la voglia di leggere altro di questo splendido scrittore, in particolare Sportswriter che ovviamente non riesco a reperire!
Recensioni
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recensione di Rognoni, F., L'Indice 1997, n. 2
Sono trascorsi nove anni fra la pubblicazione dello "Sportswriter" (1986, trad. italiana Feltrinelli, 1992) e quella di questo suo splendido seguito, "Il giorno dell'indipendenza", ma - un segno quant'altri mai d'ottima salute - il loro amabile protagonista, Frank Bascombe, nel frattempo è invecchiato solo di sei. Allora ne aveva trentotto e, abbandonata senza troppi patemi la giovanile vocazione di romanziere, appunto scriveva di sport "per una patinata rivista newyorkese di cui tutti avete sentito"; mentre adesso lo ritroviamo a Haddam, New Jersey, a fare l'agente immobiliare (il "realtor", con gioco di parole discreto ma insinuante, e affatto intraducibile, con "reality"): cioè, un altro passo avanti verso la realizzazione di quella ineffabile normalità che è uno dei più fantastici progetti della letteratura e del pensiero d'oltreoceano, almeno a partire da Emerson. Non a caso il "saggio di Concord" è uno degli autori favoriti di Frank (Tocqueville, invece, l'annoia): al punto che, quando suo figlio Paul dà segni abbastanza allarmanti d'essere in crisi adolescenziale, il padre (che è divorziato e non vive con lui) subito gli manda una copia di quel vangelo americano che è "Self-Reliance" - richiamandolo, insomma, a una "fiducia in se stessi" che non so quanti padri europei, anche molto più sprovvisti di ironia, saprebbero invocare.
Perché Richard Ford (nato nel 1944), qui al capolavoro, e Frank Bascombe con lui, sono sommamente ironici: anzi, il romanzo - digressivo e dalla trama quasi inesistente - è la loro ironia, disincantata ma mai troppo caustica, addolorata e tuttavia sempre divertita, essenzialmente priva di cattiveria, incantata dal gioco dei contrari, ma mai al punto di girare a vuoto (si notino le frequenti parentesi a fine paragrafo, che regolarmente tendono a capovolgere, "ma non del tutto", l'assunto che le precede). Per questo, alla fine, benché i tanti personaggi e le innumerevoli comparse abbiano soprattutto "parlato" (Ford ha un orecchio infallibile per coglierne le varie cadenze, e questa è probabilmente la maggior gloria del libro), qualcosa è anche successo: Frank soprattutto, e Paul, e forse anche Ann, l'ex moglie, e forse Sally, l'adorabile amante, e magari un po' anche gli sprovveduti Markham, alla comica ricerca della casa ideale, tutti sono impalpabilmente cambiati, durante questo weekend del 4 luglio (dell'88, l'anno dell'ultima vittoria dei repubblicani alle presidenziali), non foss'altro per ribadire, ognuno, la propria fedeltà a se stessi.
Sotto questo aspetto "Il giorno dell'indipendenza" è davvero un romanzo corale, e la parola "others" ("Sento le spinte e gli strattoni, gli spostamenti e gli ondeggiamenti degli altri") lo suggella con la stessa inevitabilità con cui, diciamo, il sostantivo past - "passato" - conclude "Il grande Gatsby", o il pronome di seconda persona - "you" - il "Canto di me stesso" di Whitman. Ad enunciarlo, il paradosso - è solo grazie agli altri che siamo "indipendenti" - suonerà anche un po' crudo e meccanico: ma ci vuole autentico genio narrativo a incarnarlo in un libro di quasi cinquecento pagine, che sembra tutto una digressione, ed è in realtà perfettamente calibrato; che non porterà da nessuna (altra) parte, perché il borghesissimo sobborgo di Haddam è ancora territorio quasi inesplorato, luogo e occasione d'alcune delle pagine più spassose del romanzo contemporaneo (tutto il "côtè" professionale della giornata di Frank, dai rapporti con gli incontentabili ma in fondo teneri Markham, a quelli coi minacciosi inquilini, i McLeod, o col "socio in affari" Karl Bemish, è irresistibilmente comico), come della misteriosa tragedia della giovane Clair de Vane, l'orrore della cui morte insensata trascorre il libro come un angoscioso "Leitmotiv". Per cui questa commedia all'apparenza bonaria, e senza dubbio vitale, ha da dire la sua anche sulla violenza dell'America contemporanea, con un pudore e una lucidità non compiaciuta, inarrivabili per molti film e romanzi che della violenza stanno facendo una bandiera: "'Ci sono notizie sull'assassinio della vostra piccola agente?' (...) 'Offriamo una ricompensa, ma che io sappia ancora niente' (...) 'È come se fosse stata colpita da un fulmine', dico, e mi rendo conto di stare descrivendo solo la sua scomparsa dalla mia vita, non la sua dipartita da questa terra".
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