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Piero Bevilacqua, Sull’utilità della storia per l’avvenire delle nostre scuole, Roma, Donzelli Editore, 1997, pp. 146. La riflessione sulla storia - sui suoi strumenti, sulle metodologie, sulla sua collocazione nella “rete” dei saperi - non può certo considerarsi un’invenzione recente, eppure, da qualche tempo a questa parte, anche in connessione con i mutamenti della fenomenologia politica nazionale, essa ha acquistato una sorta di improvvisa “popolarità”. Prima il dibattito sulla “neutralità” dei manuali in uso nei licei; poi - in un contesto decisamente più ampio - le riletture di periodi cruciali della storia d’Italia, alle quali non è, tuttavia, rimasto estraneo uno smaccato uso politico delle vicende storiche del Paese, condotto talvolta con finalità “riabilitatrici” di trascorsi regimi essenzialmente funzionali a “sdoganamenti” di movimenti politici oggi esistenti; da ultimo la discussione, ancora non spenta, provocata dal decreto Berlinguer, che modifica le scansioni temporali dei programmi di storia nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, assegnando all’ultimo anno di corso di ciascun ciclo la trattazione del Novecento. Da tanta materia incandescente non poteva che derivare una colata lavica di interventi, dagli effetti, in talune occasioni, fortemente spaesanti, se è vero che a politici di indiscussa ignoranza sono stati richiesti pensosi pareri, spacciati per autorevoli da una informazione - televisiva e non - quantomeno superficiale. A riportare l’intera questione negli orizzonti di più meditate riflessioni viene ora questo bel libro di Piero Bevilacqua - storico calabrese impegnato in accurate, e innovative, ricerche sull’Italia meridionale e sul “paesaggio” agrario - che, fin dal titolo nietzscheano, non fa nulla per celare la natura del problema che coinvolge il ruolo della storia, e con essa della memoria, nel mondo contemporaneo. Il punto di partenza di Bevilac
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È ancora importante la conoscenza storica? Conserva una qualche utilità il suo insegnamento nelle scuole e nelle università? Continua a costituire un qualche vantaggio per la formazione del cittadino del mondo attuale?
Inutile nasconderselo: il sistema dei valori dominanti, lo stile stesso dell'epoca presente tendono a considerare superflua la storia. Svalutazione del passato e delle sue possibilità di conoscenza; erosione della memoria, pubblica e privata; «declino dell'avvenire», per l'impossibilità di pensarlo e prefigurarlo: è il presente ad assumere, nelle nostre società, una dimensione totalizzante, come se questo fosse davvero l'unico dei mondi possibili. Ma la storia mostra - ed è questo il suo insostituibile compito civile - che altri mondi sono possibili: che le cose non necessariamente sono andate come dovevano andare; che l'ambito delle possibilità umane si muove in uno spazio predeterminato, ma non chiuso.
Questa consapevolezza del carattere aperto della nostra vicenda collettiva, del tratto insieme attuale e inattuale del nostro passato - per riprendere una delle espressioni di Nietzsche cui Bevilacqua si ispira, fin dal titolo del volume - si può avere soltanto studiando la storia.
Sorge da qui l'ispirazione profondamente pedagogica di questo libro, dedicato in modo esplicito (anche se non esclusivo) agli insegnanti di storia. Ad essi si suggeriscono gli argomenti che possono far rinascere nello studente la passione per la disciplina: partendo dal proprio territorio, dalla ricostruzione delle origini dei propri luoghi si possono recuperare i grandi temi che connettono gli individui e le comunità a un più vasto universo e a un più generale passato. Così la storia, privata delle sue finte certezze «progressive», può essere curvata a dipanare l'appassionato racconto della pluralità dei mondi che si sono avvicendati nel tempo e nello spazio.
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