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Il vivere inimitabile. Vita di Gabriele D'Annunzio
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2000
23 maggio 2000
9788804474128

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Enzo
Recensioni: 4/5

Maestro del plagio o IL PLAGIATO PER ECCELLENZA da quasi tutti i poeti del Novecento italiano? E forse anche da qualche romanziere. E forse anche da qualche drammaturgo. Poi: se un autore è immenso, è inutile perdere tempo e consegnare il tempo alla critica. Quanto ne hanno perso i demolitori di ogni sorta? Quelli ideologicamente ottusi? Quelli ottusi e basta? Il Vate lo prendi da un lato e ti sfugge dall'altro. Il Vate non è effabile, "il Vate non si dice", "il Vate si legge e basta". Perché dice la Bellezza dell'Arte e la dice sull'orlo del degrado, dell'abisso economicistico in cui siamo precipitati. E, quindi, se non è Vate d'Annunzio: chi può esserlo?

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Andrea Bottura
Recensioni: 2/5

Maestro del Plagio, piú che Vate, D´Annunzio riuscí a convincere della sua eccezionalitá non solo le numerose e sprovvedute amanti, ma anche larghi settori dell´establishment culturale italiano e straniero. Una storia vera dell´uomo D´Annunzio, al di fuori delle nebbie celebrative, non é ancora purtroppo stata scritta.

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Voce della critica



Andreoli, Annamaria, Il vivere inimitabile. Vita di Gabriele d'Annunzio, Mondadori , 2000
d'Annunzio, Gabriele, Lettere ai Treves, Garzanti , 1999
recensioni di Turchetta, G. L'Indice del 2000, n. 10

Chi conosce le dimensioni mostruose della bibliografia su d'Annunzio, dovrebbe domandarsi, a ogni nuovo titolo sull'argomento: "Perché ancora d'Annunzio?". Non è questa la sede per rispondere in modo esaustivo a una domanda insieme così ovvia e così difficile. Fatto sta che, a più di sessant'anni dalla sua morte, il Vate pescarese è ancora un problema: letterario, culturale, storico e, perché no, etico. La sua biografia, anche a guardarla senza troppo facili pregiudizi moralistici, ce lo mostra al tempo stesso seducente e ripugnante, supremo e spregevole: se avessimo potuto conoscerlo, tanto irresistibile quanto da sfuggire. La sua opera troppo abbondante, notoriamente sollecitata dalla continua esigenza di ottenere denaro in fretta, non meno che dall'infrenabile demone dell'arte, sovrappone momenti di poesia sublime, che vorremmo dire eterni (dagli esiti memorabili di Alcyone a certe Novelle della Pescara, quasi mai adeguatamente apprezzate), a cadute irredimibili, che nessun culto cretino del "bello scrivere" potrebbe riabilitare: l'abile e troppo lodato Notturno, con il suo singolarissimo cocktail di analogismo, di vertigine memoriale e di vergognosa retorica nazionalista e bellicista sta lì a dimostrarcelo in modo clamoroso, oserei dire indiscutibile.
Nessun criterio unilateralmente estetico è in grado però di mettere a fuoco un'opera non solo sconfinata (versi, romanzi, novelle, prose liriche e autobiografiche, drammi, articoli giornalistici, critica d'arte e di costume, oratoria politica, oltre a molte decine di migliaia di lettere), ma dove la contraddizione è, nonché normale, addirittura fondante. Alla radice di questa contraddizione sta la sovrapposizione sistematica, e del tutto intenzionale, di arte e vita. D'Annunzio intuisce con geniale tempestività le nuove dinamiche della nascente società di massa, e decide di vendere contemporaneamente, in confezione non separabile, la propria poesia e l'immagine di se stesso Poeta. Per questo il suo aristocraticismo, stilistico oltre che ideologico, fa tutt'uno con lo sforzo infinito, caratteristicamente "industriale" e moderno, di sedurre il pubblico. D'Annunzio è stato insomma il primo a capire che la Letteratura (con la "L" maiuscola), la Poesia, il Genio sono valori-feticcio, e dunque prodotti assai vendibili.
Esistevano già non poche documentate biografie sul Vate pescarese, come quelle di Gatti, di Alatri, dello stesso Piero Chiara, o come il recente libro di John Woodhouse, massimo dannunziologo d'oltre-Manica (Gabriele D'Annunzio. Arcangelo ribelle, Carocci, 1999: un lavoro serio, ma assai ingenuo sul piano letterario). Il poderoso volume di Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile, si distingue subito per la capacità, rarissima, di coniugare intelligenza critica, acribia filologica e competenza storico-archivistica, e di animarle con una vivace verve narrativa. Studiosa ben nota, già curatrice (con Niva Lorenzini) di buona parte dei volumi dell'Opera omnia mondadoriana, di altre edizioni di testi dannunziani non compresi nell'editio major (come Di me a me stesso, Mondadori, 1990), di lavori biografici (come la preziosa iconografia uscita per La Nuova Italia, 1987) e soprattutto autrice di molti studi critico-letterari (come il D'Annunzio, La Nuova Italia, 1985), con questa biografia Annamaria Andreoli suggella un lavoro scientifico di lungo corso, e rinnova felicemente la scommessa di raccontare una vita non solo affascinante e intricatissima, ma anche, per fatale conseguenza della poetica dannunziana, iper-documentata, così che, per dirla con l'autrice, "c'è di che pedinare quotidianamente" (quando non ora per ora) le gesta del Vate.
L'autrice è stata molto brava a trovare il tono giusto, evitando ogni enfasi corriva, ma anche il troppo facile ipercorrettismo sarcastico, e scegliendo invece un'equilibrata miscela di rispetto umano e intellettuale, da un lato, e, dall'altro, di ironia prudente (ma non per questo meno pungente) laddove (spesso) l'"umano, troppo umano" della vita dannunziana lo imponeva: dalle vicende della sua inarrivabile dissennatezza, dei suoi immensi eterni debiti, alle sue infinite bugie (agli amici e agli editori, oltre che alle donne). Nel raccontare la vita davvero "inimitabile" di d'Annunzio, in questo volume si fa largo uso di documenti epistolari e di diari, con un'intelligenza non disgiunta da femminile malizia. Come accade per i diari di Robert de Montesquiou (il barone Charlus della Recherche proustiana), invaghito di d'Annunzio, cui faceva molti favori anche perché sperava (vanamente, pare) di ricavarne altri e più segreti favori. Direi anzi che uno degli aspetti di maggiore interesse del libro sta proprio nel presentarci molti materiali inediti o poco conosciuti anche dagli esperti: a cominciare dalle lettere di Eleonora Duse, tutte vibranti di passione, interiettive, quasi sgrammaticate, e quasi sempre rivelatrici.
Lo spazio di una recensione non consente di esplorare analiticamente le molte questioni e questioncelle cui Annamaria Andreoli apporta contributi documentari e interpretativi, spostando (in qualche caso in modo forse definitivo) le letture finora prevalenti. Penso per esempio alle tormentate vicende del matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese, che l'autrice arricchisce, con non innocente acume filologico, ricostruendo il ruolo tutt'altro che limpido giocato nella vicenda dalla duchessa madre Natalia (bella, giovane, colta, fascinosissima, e pazza quanto basta). Così anche spiccano per rigore etico oltre che biografico le pagine sul controverso rapporto d'Annunzio-Pascoli: a tutto vantaggio, com'è giusto, del narcisismo ma anche della generosità di Gabriele, di contro alla livida invidia del frustratissimo Zvanì.
Per capire con quanta strategica consapevolezza d'Annunzio abbia progettato la propria fama, bisogna leggere anche il fondamentale carteggio fra lo scrittore e i Treves, titolari della casa editrice allora più importante d'Italia. Le Lettere ai Treves coprono circa trent'anni di storia italiana, e ci danno uno spaccato eccezionalmente ricco dei rapporti, per così dire, fra poesia e vil denaro. Nessuno infatti meglio di d'Annunzio potrebbe farci capire fino a che punto i libri abbiano a che fare con il mercato. Senza contare che l'incontro fra l'avveduto imprenditore Emilio Treves e il poeta sempre in cerca di quattrini dà luogo a un duetto assai godibile. Eccone uno scampolo; esasperato dalle continue richieste di anticipi, Emilio sbotta: "Tu mi tratti come un coglione, come la vacca da mungere"; prontissima la replica del poeta: "Per l'immagine graziosa della 'vacca da mungere', non posso non farti osservare che (...) il produttore sono io".

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Conosci l'autore

Annamaria Andreoli

ha insegnato Letteratura italiana nelle Università di Bologna e della Basilicata. Già presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani (1997-2008), è curatrice delle opere di d’Annunzio nei Meridiani Mondadori. Tra i suoi libri: Gabriele d’Annunzio (1985), D’Annunzio archivista (1996), Il vivere inimitabile (2000), Onde d’inchiostro. Marconi, D’Annunzio: storia di un’amicizia (2004), Più che l'amore (Marsilio, 2017). Ha diretto l’edizione critica delle lettere di d’Annunzio-Duse, Come il mare io ti parlo. Lettere 1894- 1923 (2014, a cura di Franca Minnucci)

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