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Un libro utile ed economico rispetto all’edizione Meridiani di tutta la produzione di Quasimodo. In questi ultimi mesi l’ho riletto dopo che non lo leggevo da tanto e lo trovo sempre estremamente suggestivo. Dalle prime raccolte strettamente legate alla corrente ermetica fino al nuovo stile post guerra con la bellissima raccolta “Giorno dopo giorno”, Quasimodo mi emoziona sempre. Edizione interessante anche per la possibilità di leggere la produzione giovanile e le poesie inedite
Ottimo. Un libro da leggere con calma e ponderazione.
Quando, a distanza di anni, si torna a riaprire la stessa pagina e si ritrova un incanto che, pur intuibile, afferra lo stesso i lacci di un'emotività che temevamo sgualcita e li stringe con forza uguale sulle suole del tempo, allora possiamo dirci salvi, almeno in quell'idea di salvezza che non si è ancora data sottocosto alle sirene accattone del normale corrente, quell'aver evitato la pedata che addosso lascia il brutto cambiamento, le costrizioni di un sociale orrendo, le sfortune e i veleni del tempo che passa e che spesso induriscono il cuore. Le lacrime non hanno anagrafe, o forse le hanno tutte se lo stesso orologio, là in alto su un muro di cucina, o se un cappello da ferroviere scuotono e liberano ogni tensione in un adesso immediatamente sosia dell'allora. Parlo delle due poesie che Quasimodo dedica ai genitori, esiti a dir poco altissimi nel paesaggio della lirica italiana di sempre. Devo ammettere che amo molto di più i versi in cui si da del tu a qualcosa, lo si prende di petto in una diretta sincerità, in prima persona, quelli in cui il sentimento è chiaro e dilaga senza giri o filtri o deviazioni. Il poeta adopera spesso questo fiato, questa confidenza, sia che rivolga a un'isola, o a un profumo, ai soffi di vento su Tindari o all'intensa prossimità di un amore mai spento: "Desiderio delle tue mani chiare/ nella penombra della fiamma:/ sapevano di rovere e di rose;/di morte. Antico Inverno./ Cercavano il miglio gli uccelli/ ed erano subito di neve;/ così le parole./ Un po' di sole, una raggera d'angelo,/ e poi la nebbia, e gli alberi,/ e noi fatti d'aria al mattino". Evocazioni di lunghe nostalgie, di passi come colpevoli lungo la rotta dei sentimenti vissuti (l'epitaffio per Bice Donetti è un capolavoro), e le parole che tentano l'avventura del dire, il calco del dentro fra grida e stenti continui: "Le parole ci stancano,/ risalgono da un'acqua lapidata;/ forse il cuore ci resta, forse il cuore...". E quel battito, ancora, non smette di cantare.
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