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Gli sdraiati - Michele Serra - copertina
Gli sdraiati - Michele Serra - 2
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sdraiati

Descrizione


Forse sono di là, forse sono altrove. In genere dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo. Sono gli sdraiati. I figli adolescenti, i figli già ragazzi. Michele Serra si inoltra in quel mondo misterioso. Non risparmia niente ai figli, niente ai padri. Racconta l'estraneità, i conflitti, le occasioni perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un'ostilità che nessuna saggezza riesce a placare. Quando è successo? Come è successo? Dove ci siamo persi? E basterà, per ritrovarci, il disperato, patetico invito che il padre reitera al figlio per una passeggiata in montagna? Fra burrasche psichiche, satira sociale, orgogliose impennate di relativismo etico, il racconto affonda nel mondo ignoto dei figli e in quello almeno altrettanto ignoto dei "dopopadri". "Gli sdraiati" è un romanzo comico, un romanzo di avventure, una storia di rabbia, amore e malinconia. Ed è anche il piccolo monumento a una generazione che si è allungata orizzontalmente nel mondo, e forse da quella posizione riesce a vedere cose che gli "eretti" non vedono più, non vedono ancora, hanno smesso di vedere.
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Dettagli

2013
6 novembre 2013
108 p., Brossura
9788807018343

Valutazioni e recensioni

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Ritochka
Recensioni: 3/5

Breve libretto con brani di acuta osservazione che si alternano a passi pseudo-filosofeggianti, un po' lenti. Una lettura gradevole ma non entusiasmante.

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unclassicounamico
Recensioni: 2/5

Mi sarei aspettata un finale diverso dopo il lungo monologo che fa, ovviamente riflettere, ma anche arrabbiare.

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Aledifra
Recensioni: 3/5

Carino. In alcune parti divertente e ironico in altre un po' noioso.

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Voce della critica

  Il tema della relazione tra genitori e figli e del rapporto di questi col mondo è stato di grande attualità negli ultimi anni, proponendo, per i giovani, definizioni diverse a seconda delle persone e delle circostanze nelle quali è stato affrontato: dai celebri "bamboccioni" del ministro Padoa- Schioppa, ai ragazzi italiani troppo choosy quando si tratta di dover cercare (e accettare) un impiego (Elsa Fornero); dai ventottenni definiti "sfigati se non ancora laureati" dal giovanissimo e molto bene introdotto viceministro Michel Martone (col quale proprio Serra solidarizzò in un'Amaca del 25/01/2012) fino ai "mammoni" del ministro Cancellieri e alle recenti dichiarazioni di John Elkann. Michele Serra si inserisce con Gli sdraiati nel solco di questa querelle, diminuendo appena l'età dei suoi bersagli e realizzandone un ritratto gustosissimo che rasenta per accuratezza la descrizione etnografica: "tracce di fanghiglia e foglie secche" sul tappeto; "il lavello pieno di piatti sporchi", "macchie di sugo ormai calcinate" e un generale "puzzo di rancido" in cucina, mentre nella casa regna il "tanfo di sigarette" le cui cicche rigurgitano dai posacenere; infine, "in bagno, asciugamani zuppi giacciono sul pavimento". Questo è l'habitat degli "sdraiati", descritto nella parte iniziale del romanzo, in cui la nota firma di "Repubblica", oltre ad ispirare un immediato senso di vicinanza alle sue sofferenze, manifesta l'intento realmente apprezzabile d'interrogarsi sulla crescita dei figli, sul loro diritto-dovere alla ricerca dell'indipendenza e sulle ragioni della loro apparente indifferenza nei confronti dell'altro. Il testo si sviluppa come una sorta di lettera aperta che un padre scrive ad un figlio ventenne, alla ricerca di un diverso e più efficace canale di comunicazione, mettendo in scena il rapporto tra i due, fatto d'incomprensioni, di silenzi (del figlio), di stupori ed irritazioni (del padre). Ma è l'univocità di questa messa in scena la principale debolezza di un romanzo che non lascia mai la parola alla controparte: il padre parla e domanda, il figlio dovrebbe ascoltare e rispondere. Molto si è detto (e si potrebbe dire) dell'eccessivo personalismo di Serra nel romanzo, sebbene egli stesso abbia sovente ripetuto di aver inteso parlare dei padri più che dei figli. Eppure in questo libro che vorrebbe rappresentare una generazione, come suggerisce l'ingegnoso titolo plurale, si percepisce lo squilibrio tra lo spazio destinato ai figli e lo spazio che invece Serra riserva a se stesso. Sono solo i desideri dell'autore a essere rappresentati, la sua visione del mondo, le sue ansie e le sue paure, il suo senso del giusto e dell'adeguato. Ciò spiega il notevole successo editoriale di questo libro, con il quale una "larga fetta di adulti occidentali" ha potuto trovare voce nella scrittura brillante e caustica di Serra. Nel rapporto col figlio non funziona nemmeno il tentativo della parodia: "verificare lo stato di decomposizione dei cibi prima di ingoiarli" o "lasci i tuoi peli nel bidé per motivi religiosi?" Il problema, che lo stesso Serra inconsapevolmente sfiora autodefinendosi un "relativista etico", è l'incapacità di questi "dopopadri" di stabilire criteri e limiti certi. Per queste ragioni la domanda chiave che l'autore si pone, "se questo muro indivisibile sia la semplice riedizione dell'eterno conflitto tra genitori e figli" o se siamo di fronte ad una cesura storica che non ha precedenti, non è coerente con le risposte che Serra stesso si attende. Se "la cura del mondo è un'abitudine che si eredita" e che sembra apparentemente mancare nel figlio e nei suoi coetanei (rappresentati in apertura di romanzo dalla riuscita figura dell'apatica amica Pia) credo che la domanda sacrosanta da porsi sia: di chi è la responsabilità? Il fallimento di un genitore può derivare proprio dal non essere stato capace di trasmettere l'attenzione per le cose, di insegnare il senso del bello, di far comprendere che "la cura di se stessi è inseparabile dalla cura dei propri posti". E, soprattutto, di alternare carezze e regali tecnologici con sodi e ben assestati calci nel fondoschiena. Serra scrive da padre, il suo sguardo è rivolto indietro ad abbracciare il passato. Forse quando il sentiero della vita varca il colle e ci si accorge con timore e rammarico che di fronte a noi sta la pista in discesa che conduce a un fondovalle nebbioso che prima o poi c'inghiottirà; forse allora lo sguardo sulle cose si arricchisce di quella manciata di tempo in più che vale a farcene apprezzare maggiormente la bellezza. Se Serra si stupisce che il ragazzo non sia pronto ad accompagnarlo sull'immaginario colle della Nasca (reiterato invito al figlio che funge da modulato refrain dell'intero romanzo) o che, sveglio alle sei del mattino come lui, con una tazza di caffè nero e bollente in mano, non sia incline a lasciarsi intiepidire il cuore dal dorato sole nascente che bacia le colline delle Langhe, forse questo stupore trova la sua ragione di esistere non tanto nella mancanza di sensibilità del figlio (che preferisce dormire fino all'ora di pranzo) quanto nel fatto che ognuno arriva alla scoperta della bellezza nei suoi modi e coi suoi tempi. Magari non a diciannove anni ma a venticinque, o a cinquanta. O mai.     Niccolò Pagani    

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La recensione di IBS

Qualcuno sostiene che fare il genitore sia un mestiere “impossibile” e che il miglior genitore che ti possa capitare sia quello pienamente consapevole del fatto che il suo ruolo è, appunto, impossibile da sostenere. In fondo è una questione di autorità e di capacità di farsi ascoltare senza per questo invadere gli spazi, senza prevaricare, senza imporre il proprio punto di vista, senza sembrare arroganti, o troppo pesanti, o maturi, o pieni di sé, più esperti, più ricchi, più potenti. Senza sembrare genitori, insomma.
Il grande paradosso con cui si confronta in questo libro, un po’ romanzo e un po’ diario, Michele Serra, giornalista e autore televisivo, opinionista e opinion leader di un’intera generazione di ex giovani promettenti e ribelli, è proprio questo: è possibile riuscire a partecipare alla vita dei propri figli adolescenti? Magari senza farne parte pienamente, senza farsi includere nelle conversazioni e nei progetti, ma almeno farsi inquadrare nel loro spettro visivo? Attirare per un attimo la loro attenzione?
Suo figlio “Tizio”, come lo chiama l’autore, è il classico adolescente diciottenne. Michele Serra passa molto tempo ad osservarlo, senza destare per altro la minima reazione, cercando di comprendere la sua natura intrinseca, senza mai arrivare a una verità consolidata. Forse si avvicina un po’ a cogliere la sua essenza un pomeriggio in cui racconta:
«Eri sdraiato sul divano, dentro un accrocco spiegazzato di cuscini e briciole. Annoto con zelo scientifico, e nessun ricamo letterario. Sopra la pancia tenevi appoggiato il computer acceso. Con la mano destra digitavi qualcosa sullo Smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un würstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo, su una serie americana nella quale due fratelli obesi, con un lessico rudimentale, spiegavano come si bonifica una villetta dai ratti. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all’iPod occultato in qualche anfratto: è possibile, dunque, che tu stessi anche ascoltando musica». Il risultato è una strana “evoluzione” della specie, in cui il genere umano come lo abbiamo conosciuto finora, compresa l’avanguardia di sinistra borghese dell’autore, assiste inerme alla proliferazione dei terminali ricettivi degli adolescenti. Occhi, orecchie, sensi, polpastrelli, ricevono quantità di dati eterogenei e di dubbia provenienza, dando in cambio il nulla. Zero dialogo. Zero dialettica. Zero attività. Sono sdraiati, incapaci di portare a termine qualsivoglia lavoro. Senza chiudere mai il cerchio delle loro vite, aprono gli armadi, i cassetti, le porte, senza richiuderli, tirano fuori una bottiglia dal frigo senza riporla, aprono mille finestre senza mai uscirne. Per la prima volta nella storia del mondo i vecchi lavorano e i giovani riposano.
Mano a mano che la scrittura va avanti, descrivendo scene avvilenti di vita quotidiana a di reciproca ignoranza, dallo shopping in centro alla vendemmia nelle Langhe, Michele Serra immagina di scrivere il suo grande romanzo inedito dall’impianto epico che impegnerà gli ultimi anni della sua vita, La Grande Guerra Finale, quella tra vecchi e giovani, una grandiosa epopea bellica che vedrà scontrarsi i numerosissimi vecchi, più resistenti e risoluti, e i pochi sonnolenti giovani in una guerra all’ultimo sangue. Prima che la battaglia abbia inizio e che la sua generazione perisca sotto la spinta di questi nuovi organismi mutanti, Serra coltiva un unico grande desiderio: vuole che suo figlio lo segua in una scalata al Colle della Nasca, una cima brulla e spazzata dal vento di tremila metri, un vecchio sentiero di montagna che lui faceva sempre con suo padre. Forse è il desiderio di essere sorpassato su quella cima ad ossessionarlo, o soltanto il bisogno impellente di cambiare prospettiva e di sdraiarsi, per una volta, mentre suo figlio incombe alto su di lui.
Gli Sdraiati è un libro tenero e struggente, in cui la consueta ironia e la forza satirica di Michele Serra si alterna a momenti di grande nostalgia e lirismo.

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Michele Serra

1954, Roma

Ha cominciato a scrivere a vent’anni sull’Unità, nella quale era entrato come dimafonista. Prima inviato, poi corsivista e commentatore, dal 1997 scrive sulla Repubblica e dal 2002 anche sull’Espresso. In passato ha collaborato a molte testate, tra le quali Epoca e Panorama.Come autore, ha scritto testi teatrali per Antonio Albanese, Luca De Filippo, Beppe Grillo, Claudio Bisio, Milva, Davide Riondino e Andrea Brambilla. In televisione ha lavorato con Adriano Celentano, Gianni Morandi, Luciana Littizzetto e molti altri artisti. Da quattro anni è co-autore della trasmissione di Fabio Fazio "Che tempo che fa”.Tra i libri pubblicati con Feltrinelli ricordiamo: Il ragazzo mucca (1997), Il nuovo che avanza (1989), Cerimonie (2002),...

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