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Scordatevi l’immagine del campione incravattato. Io sono un atleta anomalo. Appartengo alla parrocchia di quelli che non si vergognano di mangiare con le mani o di rosicchiarsi le unghie in pubblico. […] Ecco, sono proprio quello lì. Uno che ha voglia di mettersi in gioco. Sempre con impegno, senza lasciarsi soffocare dai condizionamenti. Mi piace buttarmi nella mischia, giusto per usare il gergo rugbista” (p. 19)
L’immagine di Martin Castrogiovanni, il gigante buono della squadra nazionale di rugby, dalla barba incolta ed i capelli lunghi spettinati, rappresenta in modo perfetto l’essenza del suo romanzo autobiografico. Ogni pagina scorre velocissima ed è sempre ricca di elementi dualistici, proprio come la sua immagine: gigante-buono; serietà-simpatia; impegno-divertimento; dieta-birra; malattia-alleato. È proprio su quest’ultimo punto che Martin Castrogiovanni ci mostra come la vita può a volte giocare un brutto scherzo, ma se tu riesci ad essere più forte, a cadere e poi rialzarti, allora la partita la vinci qualunque cosa accada.
“Non ci sono compressi. La celiachia non si fa prendere in giro. Se la snobbi diventa un fuoco perenne” (p. 67)
Un viaggio lungo dall’Argentina all’Italia che ci accompagna per 201 pagine ricche di storie divertimenti, aneddoti filosofici, chiacchere da spogliatoio e spunti di riflessioni profondi. Capitoli brevissimi e lettura che scorre veloce sono gli elementi che caratterizzano questo libro. Da sportivo, mi entusiasma particolarmente l’idea del terzo tempo del rugby, sconosciuto al mondo calcistico, che invece occupa il 90% delle pagine e dei programmi sportivi dei nostri mass-media.
“In campo ci sono due squadre, 15 gladiatori contro 15 gladiatori, che si confrontano in una grossa zuffa senza esclusione di colpi, in cui sembra davvero che non facciano alto che darsele di santa ragione. Tutto questo, però, avviene nella lealtà e nel rispetto dell’avversario. E quando l’arbitro fischia la fine dell’incontro, i due schieramenti, indipendentemente dal risultato, smettono di essere rivali e si riuniscono intorno a un tavolo in un clima di festa” (p. 134)
Recensione di Marco Cattaneo
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