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Il celibe Pécuchet e il vedovo Bouvard s'incontrano per caso sedendosi contemporaneamente sulla stessa panchina. Ciò che facilita l'avvio del-la conversazione è il fatto che, posando i loro cappelli a lato, si accor-gono che hanno avuto entrambi la stessa idea di scrivere all'interno della "calotta" i propri nomi. Se ne deduce, quindi, la loro diffidenza nei confronti del mondo. La divertente circostanza mi ha fatto ricordare che anche a me capitò d'incontrare nella mia vita lavorativa un collega che legava alla scrivania con una cordicella la propria penna a sfera, nel timore che gliela rubassero. Non siamo fuori della realtà, dunque, e l'osservazione di Flaubert è assai perspicace e accusatoria. Il feeling tra i due è immediato. Entrambi sono impiegati: "Ognuno, ascoltando l'al-tro, ritrovava un aspetto di sé dimenticato" e la conversazione spazia subito su molti campi. Difficile trovare un fulminea e simpatica intesa come questa: "Per venti volte si erano alzati, si erano riseduti e aveva-no percorso il boulevard dalla chiusa a monte fino alla chiusa a valle col proposito di separarsi, ogni volta privi della forza necessaria, trattenuti da un incantesimo." Bouvard, più alto di Pécuchet, "camminava col cappello all'indietro, il panciotto sbottonato e la cravatta in mano", Pécuchet, più piccolo, "spariva dentro a una finanziera marrone, procedeva a testa bassa sot-to un berretto dalla visiera appuntita." Li accomuna anche il fatto di essere copisti, Bouvard in una ditta commerciale e Pécuchet presso il Ministero della Marina, e di amare lo studio. Mai combinazione più pro-pizia pare essersi incontrata sotto il nostro cielo: simili e complementa-ri, perfino nella risata: "Anche le loro piccole debolezze si compensava-no a vicenda." E tre nomi di battesimo ciascuno, addirittura: François, Denys, Bartholomée per Bouvard, e Juste, Romain, Cyrille per Pécu-chet, e entrambi di anni quarantasette! E in possesso di una bella scrit-tura alla quale dovevano il lavoro. Tutto questo non è un miracolo? Dotati di grande cu
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